Invisibile
Nella comunicazione visiva è possibile far rientrare la categoria dell’invisibile?
Forse ancora più del visibile, l’inivisibile apre infinite questioni filosofiche e concettuali. Cos’è, oggi, invisibile? E cos’è stato per l’arte moderna, per non parlare di quella antica? E quali sono i suoi sinonimi, se facciamo riferimento al nostro tema, che è la comunicazione visiva: irrapresentabile, inconoscibile, impercettibile, indistinguibile, microscopico, smisurato, latente, virtuale …?
Se il concetto di visibile apre questioni come il “concreto”, il “pieno”, il “finito”, il “tutto”, quello di invisibile, per … contrasto, presuppone l’”astratto”, il “vuoto”, l’”infinito”, il “nulla”. E, soprattutto, il “non noto”, o, per meglio dire, il “non ancora conosciuto”!
Compito della scienza e dell'arte non è che questo: rendere visibile l'invisibile. Rappresentare l'irrapresentabile. Ricercare l'immagine che è "impossibile". L’immagine che, fino a quel momento, era ancora impossibile vedere e rappresentare.
L'arte si prefigge di ricercare l'invisibile e di farlo apparire, la scienza si muove alla scoperta di una possibile visione dell'ignoto.
Con una notevole differenza, quindi, tra l’arte e la scienza: per la scienza, perché l'ignoto non sia più tale, per l'arte perché il noto si trasformi in ignoto, in enigma.
Il limite della scienza è, dunque, la soglia stessa dell'irrapresentabilità, il medesimo confine che possiede l'arte, con la differenza, rispetto alla scienza, che essa si prefigge di far apparire l'invisibile nell'opera, mentre la scienza vuole far apparire il visibile nell'invisibile.
Si tratta di comunicare visivamente l’invisibile. Come si dispone l’arte ad affrontare questa apparentemente impossibile sfida?
Il tentativo di far intuire la presenza di un invisibile, qualunque attributo noi gli si voglia dare, più o meno spirituale o concettuale, ha caratterizzato l’intera storia dell’arte, in modo particolare quella moderna, soprattutto nel momento specifico rappresentato dal fenomeno dell’avanguardia, cosiddetta storica (fine dell’Ottocento – anni venti del Novecento).
Quattro artisti della prima metà del secolo passato, Kandinskij, Klee, Mondrian, Malevic, i fondatori dell’arte astratta, hanno cercato di mettere in forma, con differenti soluzioni, la tensione determinata dallo scontro tra lo spirito e la materia, tra l'indicibile e irrapresentabile dominio dello spirito e la resistente persistenza della realtà materiale, tra ciò che sta oltre il reale e ciò che sta dentro la tenace resistenza del visibile.
Per Kandinskij l'immateriale è connesso al materiale tramite i "sensi" interiori dell’uomo, e costituisce l'identità profonda e spirituale dell'opera d'arte. L’invisibile appare alla coscienza di Kandinskij in conseguenza di un avvenimento puramente scientifico: la divisione dell’atomo. La scoperta produce in lui la sensazione che tutto il mondo materiale fosse stato distrutto alla base. Non rimane, dunque, da rappresentare, dopo la distruzione della materia, che il contenuto interiore, spirituale!
Per Klee la dicotomia tra visibile ed invisibile non porta ad un rinnegamento dell'oggetto, come era avvenuto nel caso di Kandinskij, ma ad un'esaltazione di "forze nascoste" all’interno di tutte le cose, forze che solo l'arte può rendere visibili.
Per Klee, infatti, il mondo dell'invisibile coincide con l'ordine naturale stesso, con la sua relatività e la sua complessità, che risultano insondabili ai nostri sensi limitati, incapaci di coglierne il significato profondo.
In Malevic, il superamento del principio di realtà deriva non tanto da un'evoluzione spirituale dell'esperienza pittorica, quanto da una crisi ideologica più generale; solo così si giungerà, secondo lui, alla creazione di un’icona dell'invisibile come unica possibile rappresentazione di un mondo comunque non più oggettivo: un invisibile che, presa forma nel nero quadrato, la celebre opera, Quadrato nero, realizzata nel 1914-15, trae a sé il visibile e lo azzera.
Mondrian, a sua volta, definisce il passaggio dal naturale all'astratto come processo dall'indeterminato al determinato: determinato, o "astratto-reale", la cui "chiarezza" si raggiunge solo attraverso quella "contemplazione distaccata" - a cui faceva riferimento anche il filosofo Schopenhauer – e che avrebbe permesso il superamento del dualismo tra individuale e universale.
Nell’arte attuale, il concetto di invisibile può essere impiegato nella spiegazione di alcune altrimenti inspiegabili ragioni di performance estreme, quali quelle di Orlan di Franko B e di altri artisti “estremi”.
Franko B esegue una peformance terribile. Si presenta al pubblico completamente nudo, il corpo dipinto di bianco. Sembra un dikambara, un vestito d’aria (una figura di santone indu, che ha abbandonato ogni cosa, persino i vestiti, per andare ramingo in cerca di dio). Una musica assordante riempie lo spazio, attorno alla presenza immobile dell’artista, il quale comincia a perdere sangue da due incisioni fatte sulle braccia. Solo quando i medici, presenti alla performance, decidono che il sangue versato è pericolosamente giunto ad un limite insuperabile, intervengono e fanno interrompere l’esibizione.
Il significato di questo gesto dell’artista riposa in un motivo da ricercarsi nella sua stessa biografia: abbandonato dalla nascita, ritrovato fortunosamente, sarà salvato dalla Croce Rossa. La sofferenza di questa nascita e di questo abbandono lo accompagneranno per tutta la vita. Il suo sacrificio di sangue è dedicato a tutti coloro che sono stati abbandonati e la cui esistenza invisibile vuol farsi riconoscere.
Una serie di valenze concettuali lega l’opera in questione di Franko B alla terribile performance estetica (estetica chirurgica, s’intende) dell’artista francese Orlan: Orlan aspetta che qualcuno la veda fino in fondo, al di là della sua apparenza, al di là della sua sdefinizione ritrattistica: al di là della pelle.
Orlan trasforma la sua pelle in una superficie pittorico-chirurgica, e quindi la sua pelle-dipinto in una pelle-talismano, in un feticcio sul quale si proietta il desiderio, il desiderio artistico dell’immortalità del corpo interiore, quel corpo che Orlan vorrebbe, alla sua morte, far imbalsamare e consegnare ad un museo, per essere esposto come la prima natura morta biologica, come il primo corpo effettivamente votato all’arte... , mutato all’arte.
La tragedia iconica di Orlan consiste nel tentativo di sconfiggere la mutazione metaforizzandola: per questo motivo il disperato metamorfizzare la finitezza del corpo, spiazzando il nemico temporale con l’assumere, come Morfeo, il dio del cambiamento repentino e dunque del passaggio dalla realtà al sogno, poli-morfiche sembianze, sempre nuove forme.
Un’ossessione altrettanto lucida quanto quella della teoria della reincarnazione propugnata da Michael Jackson, intesa come condizione di vita senza tempo, nella quale è possibile continuamente rinascere,
L’inguardabile è l’orrore del corpo, l’orrore che è il corpo, nella sua forma estrema: quando non c’è che il corpo da esibire, quando nulla più rimane che questo corpo. Ecco perché molti artisti contemporanei si ostinano sul corpo, come luogo ultimo della rappresentazione, ma una rappresentazione che ha come obiettivo quello di mettere in scena la lotta del corpo contro la sua spettacolarizzazione!
Cosa continua a rimanere invisibile, irrapresentabile o irriproducibile ai bordi del conoscere? Cosa rimane d’invisibile, ai bordi del conoscere, se non ciò che è irrapresentabile o irriproducibile?
È invisibile, per il filosofo Jean-François Lyotard, autore di un famoso saggio, La condition post-modern, ciò che si cela dietro l'apparenza della superficie: convenzionalità di ogni rappresentazione bidimensionale.
La prospettiva è, infatti, solo simbolica;[i] permette di vedere solo ciò che si vuole far vedere. Per vedere di più, bisogna guardare (il dipinto, il mondo …) sotto un’altra angolazione. Anamorfosi!
L'anamorfosi spiega i suoi mostri al di là del visibile, al di là della rappresentazione: dove, prima, tutto era splendore mondano, ora (lo spettatore) vede un teschio, I due personaggi, con il loro apparato scientifico, svaniscono, e al loro posto nasce dal nulla il segno del Nulla. Fine della rappresentazione.[ii]
Chi non ha provato sgomento osservando il celebre dipinto realizzato da Holbein, intitolato Il ritratto degli Ambasciatori, accorgendosi, dopo essersi messi di lato rispetto all’opera, che una macchia fin’allora indecifrabile, ai loro piedi, nient’altro era che un teschio, schiacciato da una prospettiva diagonale? E, proseguendo nelle nostre riflessioni, come non smarrirsi nell’improvvisa consapevolezza del terrribile gioco di parole prodotto dal nodo tra il nome e l'opera, tra il nome dell’artista e il contenuto invisibile di questo ritratto: Hol-bein, osso incavato, come ci ricorda Calabrese![iii]
Invisibile, la vertigine degli sguardi, degli specchi, dei ritratti.
Irrapresentabile è ciò che non possiede materia, les immateriaux! L’insieme concettuale di tutte le nuove nature “immateriali” uscite dal soft-ware sono state per la prima volta raccolte ed esposte in una mostra al Beaubourg, nel 1985, per opera del filosofo Jean-François Lyotard, autore di un famoso saggio, La condition post-modern.
L’Irreprésentable costituisce uno dei temi fondamentali di una ricerca di Lyotard (autore di un saggio, La condition post-modern), che aveva curato una mostra, per l’appunto intitolata Les Immateriaux., realizzata al Beaubourg, nel 1985, e nella quale sono state discusse tutte le nuove “nature immateriali” prodotte dal soft-ware.
Irrapresentabile è, innanzitutto, ciò che non possiede materia, les immateriaux! Lyotard fa questo esempio: Passando attraverso una camera acquosa (...), le particelle generano scie che possono essere fotografate. (...) Le particelle inducono tutta una serie di scintille che possono essere rilevate elettronicamente. I segnali sono immessi in un calcolatore che produce un'immagine. L'immagine (...) rappresenta i dati raccolti (...). In effetti solo il computer ha reso visibile ciò che ai nostri occhi non era possibile percepire.
Irrapresentabile è, inoltre, la Reprèsentation de la complexité: il est impossible de restituer visuellement la matrice d'un élément quand il est soumis à quatre variables ou plus. Il faut alors faire une analyse par coupe. La plupart des systèmes naturals dédendent d'un très grand nombre de variables. Ils ne sont pas représentables dans leur ensemble d'un coup. Dématérialisation de l'objet "Nature".
Cosa vedremo, cosa riusciremo a comprendere, quando potremo accedere a livelli più bassi ancora di una dimensione 10 alla meno 16 metri? Al momento attuale è diffusa la convinzione che il limite di comprensione della realtà, i quark e le particelle ad essi associate, non possono superare la soglia, sempre che ci si possa arrivare, di un ordine di grandezza pari a 10 alla meno 32 metri.
Il sanguinante vestito organico, fatto di pezzi di carne cuciti insieme, con cui Jana Sterbak si riveste, si offre all’interpretazione con l’aiuto di un titolo sintomatico: Vanitas: Flesh Dress for an Albino Anorectic (1986).
Si tratta di un’opera perturbante, che si potrebbe collegare alle numerose rappresentazioni rinascimentali della vanitas e del memento mori, nelle quali l’intento era quello di dimostrare, non senza un più o meno esplicito suggerimento penitenziale, la fragilità della vita e l’imminenza della morte.
L’opera della Sterbak, tuttavia, non intende indicare un contenuto morale o aprire questioni metafisiche; al contrario, essa si prefigge solo di enunciare non tanto la sparizione del corpo, quanto la sua invisibilità agli occhi dell’altro. Innanzitutto la sparizione della pelle, come strato di separazione e di contatto tra l’interno e l’esterno, tra il pieno e il vuoto, tra la carne e l’aria: i due mondi si scontrano senza più mediazioni e quindi con tutta la reciproca e scambievole virologia. L’interno si rovescia al di fuori e si ostenta, offrendosi allo sguardo diretto e chirurgico, uno sguardo che taglia, che fa a fette, che mette a nudo, che dà la carne.
Per rendersi visibili non rimane altro che mutare in un corpo invisibile.
L’anoressia è infatti concepita come ultimo disperato tentativo di farsi notare, di farsi riconoscere e di farsi amare. Punizione dell’altro attraverso la punizione di sé: tu non mi vuoi vedere ed io sparisco ai tuoi occhi. Non potrai non accorgerti che la mia ombra si assottiglia sempre più. Rendersi invisibili per apparire ai tuoi occhi!
Devi mutare in qualcosa di invisibile, per farti riconoscere, per rientrare nello sguardo dell’altro: in fin dei conti è lo stesso progetto che anima la metamorfosi di Gregorio Samsa in scarafaggio.
Così come questa è tutta contenuta nel racconto famoso di Kafka, La metamorfosi, la mutazione in qualcosa invisibile è metaforizzata dal romanzo di Wells L’uomo invisibile.
La conclusione tragica del romanzo non enuncia una sconfitta della scienza, ma al contrario il suo procedimento per catastrofi: Wells, non a caso allievo dell’evoluzionista darwiniano Thomas H. Huxley, concepisce la ricerca stessa come continuo superamento di confini e di limiti.
Tutti fissarono il punto indicato, e videro i contorni di una mano: una mano trasparente come il vetro, in cui erano ben visibili vene, arterie, ossa e nervi, una mano abbandonata e inutile; sotto gli occhi della folla essa diveniva sempre più opaca. (...) E così , a poco a poco, il bizzarro corpo invisibile prese consistenza, cominciando dalle mani e dai pedi e seguitando poi lungo gli arti verso i centri vitali. Fu come il lento espandersi di un veleno (...).
L’invisibile diventa visibile, risucchiato dal visibile.
Il personaggio invisibile inventato da Wells si presta perfettamente ad essere inteso come una metafora dell’uomo post-moderno, un soggetto dematerializzato, in quanto immerso nel medium che lo fa sparire derealizzandolo.
Contro questa forzata invisibilità, contro questa condizione di trasparenza, l’artista contemporaneo tende a rendere il suo corpo sempre più opaco allo sguardo, sempre più visibile, colorando di rosso sangue la sua albina parvenza spettrale.
Balzac, in questa sua notissima opera letteraria - catalogata con il numero 111 nel progetto generale della Comédie humaine in 26 tomi -, immagina che un vecchio pittore seicentesco, Frenhofer, per l’appunto, faccia vedere, dopo molte insistenze, ad alcuni amici pittori, tra cui il famoso Poussin, il risultato di una sua lunga fatica pittorica; sollevato il velo dal dipinto, gli amici scoprono con sgomento che, a forza di perfezionare la pittura e aggiungere segni e colori, il vecchio artista ha ricoperto di materia cromatica l’intera superficie del quadro, che non lascia trasparire alcun tratto della bellissima modella, che avrebbe dovuto esservi ritratta.
La metafora è fin troppo ovvia: all’interno di ciò che per gli altri è solo una superficie caotica di colori vi è un’altra realtà, che, solo per colui che vuole vedere più a fondo, si rende visibile e leggibile. Ogni opera d’arte risponde a questo presupposto, ma ogni artista si augura, inutilmente, di aver realizzato un’opera, la quale continui a mantenere dentro di sé una parte di invisibilità.
Purtroppo per l’artista, anche l’invisibile è visibile, manifesto, intuibile o indiziario.
L’invisibilità nell’opera è messa in figura non solo dalla sua componente metafisica e spirituale, immateriale e ideale, rappresentata nell’icona, ma anche nella sua stessa costruzione per sovrapposizioni e scarti, nel suo approfondirsi dopo la prima pennellata, nel suo stendersi sopra la sinopia, nel suo trasformare il disegno in colore, nel ricoprire la bianca tela di un pigmento magari bianco, precipitando l’opera nella catastrofe della totale visibilità dell’invisibile.
La catastrofe rappresentata da Frenhofer troverà il suo compimento, dall’altra parte dell’arco storico del romanticismo, nella pittura estrema, monocroma, di Ad Reinhardt o nell’opera intitolata Secret Painting, di Mel Ramsden, costituita da una tela completamente nera e da un cartello recante il seguente enunciato: The content of this painting is invisible; the character and the dimension of the content are to be kept permanently secret, known only by the artist (il contenuto di questo dipinto è invisibile; il carattere e la dimensione del contenuto restano permanentemente segreti e sono noti soltanto all’artista).[iv]
L'avanguardia non può che reinterrogarsi, dopo aver esercitato fino in fondo l'atto del vedere e aver tradito l'occhio per la profondità dello sguardo. Intento dell'artista è sempre quello di evocare non tanto il visibile quanto l'invisibile: ciò che non appare direttamente raffigurato nell'opera, ma che comunque appare al nostro pensiero, eccitando immaginazione, desiderio, fantasia.
Questione fondamentale e paradigmatica: in un'epoca popolata di immagini, quale spazio ancora per il nostro immaginario, per la nostra fantasia? Esiste ancora un'arte per il fantastico, per il sogno, per la riflessione? Sconfiggere l'esterno, l'esteriorità, per l'interno, per l'interiorità, è ancora impresa possibile per l'artista?
Ma cosa s’intende oggi per interno? Forse la zona profonda, the dead zone, in cui abita l’alieno!
Di tutte le specie invisibili, il più prossimo è l'alien interiore: come “esposto” nella tesi suggestiva del film di David Fincher, Alien3, il mostro è invisibile perché non è esterno a noi. Esso è riposto, quasi come un embrione, in uno spazio del nostro corpo-mente, attendendo di divorarci da dentro. Per renderlo visibile, questo alien, dovremo aprire le nostre difese e permettere al virus di passare in altri corpi ospitanti.
Creature di un mondo immaginario
L'immaginario iconico prodotto dalla tecnologia elettronica e dai calcolatori avanzati si situa ad un incrocio con il fantastico onirico e surreale dell'arte e con il mondo delle nuove creazioni biologiche: gli ibridi e l'infinite forme di manipolazione biogenetica.
Le tecniche di grafica al calcolatore hanno raggiunto un tale livello di sofisticazione da permettere di realizzare dei veri e propri mostri visivi, creature immaginarie che posseggono la qualità di una forma vivente ipotetica. Si tratta, in realtà, di strutture non casuali, ma finalizzate allo studio dello sviluppo nella tridimensione di una legge di accrescimento di una figura iniziale.
L'autore di queste immagini aliene, realizzate, ancora negli anni Ottanta, con un potente calcolatore IBM, Clifford A. Pickover, un mago della grafica, chiama la sua tecnica con il termine di scultura elettrica.
Il gorgonoide, la tubanide, il pacmantide, questi i nomi fantastico-scientifici di questi mostri, posseggono una loro anatomia e una loro particolare legge di accrescimento, basata sullo sviluppo di una spirale irregolare.
Esiste in effetti in natura una conchiglia, una bizzarra ammonite, che si accresce in modo simile; si trattava di individuare una possibile descrizione matematica di tale fenomeno. Il risultato è straordinario, perché ci offre quella che potremmo definire una suggestiva rappresentazione ordinata di una legge caotica.
Anche il caos, dunque, non resiste alla possibilità formalizzatrice del calcolo.
L'irrappresentabile è dunque ciò che fino a questo momento non è ancora traducibile in immagine. Il computer ci permette, per altro, di "rappresentare" non solo ciò che esiste nel futuro dell'evento, come abbiamo visto nell'immagine precedente, ma anche ciò che non può esistere. In questo il suo processo è del tutto simile a quello attuato dalla fantasia dell'uomo. Dal beluario medioevale al surrealismo moderno l'arte ha costruito mondi esistenti solo dentro il sogno o il fantastico: produzione da parte dell'arte, sempre e comunque, di un altro mondo. La differenza, rispetto alla fantasia umana, di un calcolatore è che esso può produrre immagini autocostruite sulla base di un calcolo: trasferisce in immagine una serie di numeri. Il risultato è sempre artificiale. Dentro questo mondo artificiale il fantastico non è più tale. É reale, proprio in quanto generato da una serie di algoritmi; simulato, ma vero; non rappresentatività, ma creazione. Potremmo parlare, infatti, di esistenza di nuove creature: una computer-fauna, che permette ai viaggiatori di questi mondi artificiali di costruire diverse mitologie e colonizzare un mondo interamente fantastico, ma altrettanto reale.