Dopo quanto detto, è ancora possibile parlare dell’arte? Certamente sì, dal momento che essa non solo non è irreversibilmente morta, ma, quando si rende evidente, appare con la forza disequilibrante di un corpo alieno precipitato in un mondo ormai quasi completamente estetizzato (=troppo occupato dalla bellezza e dalla simulazione spettacolare …: son concetti che ritroveremo continuamente nel corso). Si desume da queste prime osservazioni, che c’è qualcuno che pensa che l’arte, a differenza dell’estetico, ha poco a che fare col bello!!!
La parola arte deriva dal termine latino ars, a sua volta formatosi su una radice antichissima, AR-, che dava alle parole in cui era presente il significato di collegamento e di ordine. Questa radice la ritroviamo all’interno di parole ancora attuali, come ar-ma, ar-nese, ar-to.
ar-ma
ar-nese
ar-to
Ognuna di queste tre parole fa riferimento ad uno strumento, con il quale è possibile fare un certo lavoro: l’arma è uno strumento utilizzato per difendersi e per colpire, l’arnese è un qualsiasi attrezzo che rende più facile l’esecuzione di un lavoro, l’arto è un organo del corpo umano (ora anche artificiale …) finalizzato al movimento, al lavoro e al contatto del corpo stesso con il mondo circostante.
Il concetto originario di arte è dunque da connettere con ciò che queste tre parole ci suggeriscono: fare arte significa produrre delle cose e mettere in relazione il soggetto con il mondo mediante l’uso di strumenti particolari. Ma non dimentichiamo che il concetto di arte non è un concetto fisso, ma relativo, variabile in maniera considerevole di epoca in epoca, da una civiltà all’altra, da una cultura all’altra!
Per arte intendiamo oggi un’attività umana contrassegnata da regole e da accorgimenti tecnici, fondata su un sapere teorico e pratico e finalizzata alla produzione di opere artistiche.
Per capire la relazione tra comunicazione visiva e arte, occorre chiarire alcuni parametri. Innanzitutto convenire insieme su alcuni punti fissi collocati un terreno molto scivoloso …
Innanzi tutto, dunque: che cos’è l’arte?
Non è una questione da poco: tutti i filosofi, dall’antichità ad oggi, si sono posti questa domanda, collegata ad un’infinità di altre, che riguardano la vita stessa, l’assoluto, lo spirituale e ciò che sta al di là del semplice vedere, come se l’arte fosse, per l’appunto, un mezzo che ci permette di capire meglio un’infinità di altri complicati problemi.>br/>
Per quanto ci riguarda, per esempio, l’arte ci permetterà di capire meglio la questione più generale della comunicazione visiva.
Alla domanda: cos’è un’opera d’arte, sentiamo rispondere in molti modi. Tra queste risposte dobbiamo fare delle opzioni.
1. L’insieme delle opere prodotte dagli artisti.
Guggenheim Museum Bilbao
Gerrit Rietveld, Poltrona rosso blu, 1917
Anish Kapoor, Madonna, 1989
Bill Viola, The Greeting, 1995
Rockwell Space Shuttle, 1981
La prima risposta, che viene immediata e spontanea, è quella di dire che è arte esattamente tutto ciò che è prodotto dagli artisti, di qualsiasi epoca, di qualsiasi cultura e di qualsiasi luogo.
Rispondere in questa maniera, non è sbagliato, perché risulta impossibile che vi sia un’opera d’arte realizzata da qualcuno che non sia un artista. Magari può succedere che non riusciamo a risalire all’autore; in altri casi può succedere che l’artista stesso non abbia volontariamente firmato la sua opera. Esiste comunque sempre un autore, e spetterà allo storico di identificarlo, grazie a metodi comparativi, stilistici e indiziari e a documentazioni storiche.
Il problema è un altro: chi sono gli artisti? Artisti sono solo i pittori e gli scultori o vi sono altri soggetti che producono arte? Gli architetti, per esempio, o i registi teatrali, cinematografici e televisivi, i fotografi, gli illustratori, i disegnatori industriali, fanno parte anch’essi della categoria degli artisti?
É evidente che se estendiamo la definizione di artista anche a questi soggetti professionali l’insieme delle opere d’arte si allarga sconfinatamente.
In questo caso, qual è la maniera con la quale possiamo definire artistici dei prodotti e non artistici degli altri?
A distinguere un’opera d’arte da ciò che non lo è, non è solo la sua bellezza, ma una serie di altri motivi, il più importante dei quali, per il momento, è il seguente: che l’opera sia stata realizzata con il fine dichiarato di essere interpretata come un’opera d’arte, e che quindi non possegga come sua caratteristica principale non tanto quella di avere una funzione utilitaristica, quanto soprattutto un fine simbolico, espressivo e comunicativo.
2. Ciò che l’artista indica come tale.
Marcel Duchamp, Ruota di biciclette, 1913
Marcel Duchamp, Ruota di biciclette, 1913
Uno degli artisti più importanti del nostro secolo, Marcel Duchamp (1887-1968), aveva dichiarato che, con il solo puntare un dito su un oggetto qualsiasi, l’artista era capace, come se fosse un mago, di trasformarlo in un’opera d’arte.
Ovviamente si trattava di una provocazione, ma c’è qualcosa di vero alla base di questo paradosso. Infatti solo l’artista ha la capacità non solo di trasformare qualsiasi materia, qualsiasi elemento, qualsiasi evento, in qualcosa di artistico, immettendolo all’interno delle sue rappresentazioni, ma anche di vedere e di farci vedere lo stesso mondo reale sotto forma artistica.
L’affermazione di Duchamp possiede, dunque, una logica profonda, in quanto intende asserire che oggetti e cose stesse, così come sono, possono essere considerati, già di per sé, dei fenomeni artistici.
Di fatto, proprio Duchamp aveva avuto il coraggio di esporre, nel 1913, una parte di una bicicletta, con il titolo esplicito di Ruota di bicicletta, come se fosse una scultura: con il semplice atto di collocare un oggetto qualsiasi, già fatto e trovato così com’era, in uno spazio consacrato all’arte, Duchamp aveva decretato che anche la cosa più umile o inutilizzabile può essere trasformata in opera d’arte.
É arte ciò che l’artista indica come tale: sempre che, a fare questo gesto magico, sia un artista che abbia la stessa concezione filosofica di Marcel Duchamp.
Marcel Duchamp, Scolabottiglie, 1914-1916
Marcel Duchamp, Pala da neve, 1915
Marcel Duchamp, Pettine, 1915
Marcel Duchamp, Fontana, 1917
Altri oggetti “trovati belli e fatti” da Duchamp, ed esposti in mostra, furono, per esempio, uno scolabottiglie, un orinatoio, una pala da neve, un pettine: nessuno di questi oggetti intendeva significare direttamente qualche cosa di misterioso o di simbolico, ma voleva essere soltanto una presenza provocatoria e dirompente nello spazio tradizionale della galleria d’arte.
Con Duchamp, e con il movimento che lo vide principale protagonista, il Dadaismo, l’arte entra in una fase completamente nuova, in cui il fine dell’opera artistica diventa anche quello di causare uno choc negli spettatori, e ciò a causa dell’assoluta incomprensibilità del suo messaggio da parte di un’interpretazione tradizionale. E, allora, come la mettiamo con la ”comunicazione”?
3. É arte ciò che piace.
Statuetta degli Oscar
La statuetta degli Oscar. Statuetta placcata in oro, progettata dallo scenografo G. Gibbons nel 1929.
Se sostenessimo che l’arte è ciò che rientra nel gusto personale di un individuo, come sentiamo spesso dire, soprattutto quando si tratta di discutere la validità di un’opera d’arte moderna, che sembra, erroneamente, più difficile da comprendere di un’opera antica, commetteremmo l’errore di non prendere in considerazione alcuna il giudizio di chi fa di professione il critico o lo storico dell’arte.
É anche vero che al gusto non si comanda e che ognuno è libero di pensarla come crede, sulle questioni dell’arte come su quelle della religione e della politica, ma è altresì vero che esistono, in ogni campo nel quale si esercita un giudizio, un territorio di confine, all’interno del quale l’individuo deve imparare ad usare razionalmente gli strumenti necessari per apprestarsi ad un’analisi corretta e per formulare un giudizio imparziale.
Alle questioni dell’arte è importantissimo accostarsi con la consapevolezza che si sta per intraprendere un cammino piuttosto difficile e complesso, che deve superare l’ingannevole piacevolezza del primo contatto con l’opera: essa nasconde sempre molteplici significati profondi, che vanno scoperti e portati alla luce. Anche l’arte, come qualsiasi altro fenomeno, è un oggetto di studio e di analisi.
La statuetta degli Oscar, soprannome popolare dell’Academy Award, premio cinematografico annuale, costituisce l’esempio più chiaro per commentare il concetto secondo cui, per alcuni, è arte solo ciò che piace.
Il paradosso nasce dal fatto che, per premiare simbolicamente, nel concorso cinematografico più importante nel mondo, il film più bello, l’attore più bravo, il regista più capace, e così via, si sia scelta una statuina di cattivissimo gusto, ma che, evidentemente, doveva piacere moltissimo, non solo al suo autore, come è ovvio, ma soprattutto ai promotori e agli organizzatori della cosiddetta Notte delle stelle.
Molto spesso, oggetti come la statuina degli Oscar, che incontrano il favore di un pubblico e che hanno la pretesa di essere belli, sono chiamati oggetti kitsch, una parola d’origine tedesca, che per l’appunto significa “cosa da scartare, di cattivo gusto”.
Ma entrare nelle questioni del gusto è assai pericoloso, perché, se non si hanno fondati elementi di giudizio critico, si può rischiare di diventare noi stessi dei personaggi di cattivo gusto …
Abraham Moles, Il Kitsch. L'arte della felicità, 1971-72
Un contributo molto importante, comunque, per iniziare a comprendere il fenomenokitsch, è offerto dalle analisi fatte da Abraham Moles ancora nel 1971-72 e pubblicate in Italia nel 1979. Uno degli aspetti più tipici e comuni del kitsch è la sua appartenenza alla casa “senza architetti”: ma ciò non è sempre vero …, sia in un caso che nell’altro. Neppure il fatto di equiparare il “brutto” alla dotazione delle cose dell’uomo massificato è molto corretto (politicamente). E, poi, chi ragiona ancora così, anche se vediamo cose orribili e case orribili in ogni dove?
Schema pensiero Kitsch
Casa Kitsch
Ad uomo kitsch, oggetti e case kitsch: esaltazione paradossale delle convenzioni, trionfo dell’autentico mancato, ribaltamento del buon gusto, disponibilità di una finzione estetica corrispondente alla finzione della vita quotidiana: non impegnativa, non drammatica, accattivante, rilassante (p 23). Così Moles!
Anche stando così le cose, qualcuno, comunque, ci vendica: l’artista (che sia questa la sua funzione? …). L’artista riesce a trasformare lo stesso scarto e persino ciò che è banale e “brutto” in nuova energia, rigenerando la vita dei resti e degli scarti: Lea Vergine ne ha fatto una mostra importante al Palazzo delle Albere di Trento, nel 1997, intitolata Trash. Quando i rifiuti diventano arte.
4. L’oggetto di studio della storia dell’arte e della critica d’arte.
Le discipline di studio che si occupano delle arti sono numerose, ma tra queste la più importante e quella che tutte coinvolge è certamente la storia dell’arte.
La storia dell’arte, che nasce, come l’intendiamo oggi, alla metà del Cinquecento, è assolutamente determinante per inquadrare un’opera nella sua epoca, confrontarla con quelle del passato, e, soprattutto, individuarne l’autore, spiegarne le intenzioni e interpretarne il messaggio.
La storia dell’arte, inoltre, ricostruisce l’intera vita di un uomo sotto il profilo artistico, evidenziandone l’aspetto creativo e produttivo.
A questa disciplina spetta il compito specifico di analizzare le singole opere di un autore, individuando le relazioni che si determinano con l’intera dimensione dell’arte, come se in ogni particolare creazione ci fosse una sorta di codice che la lega a tutte le altre, per quanto diverse e lontane esse possano essere.
Vi sono molti tipi di storie dell’arte.>br/>
Tra queste, per esempio, vi sono una storia che privilegia l’aspetto sociale della produzione, vale a dire che pone una maggiore attenzione alle motivazioni umane, politiche ed economiche del fatto artistico; una storia che analizza particolarmente gli aspetti formali delle opere, di cui esamina e descrive le componenti stilistiche, i significati poetici e le tecniche utilizzate; una storia che indaga la psicologia degli autori, di cui cerca di offrire le motivazioni interne, emotive e del tutto personali delle singole scelte espressive.>br/>
Naturalmente le storie sono fondamentalmente storiche, vale a dire basate sull’indagine e la ricostruzione temporale dei fatti e dei fenomeni in sequenze successive. Per questa ragione, essendo l’arte distribuita nel corso dei millenni, si sono formate delle discipline specialistiche per ogni epoca e per ogni periodo artistico.>br/>
Esistono, dunque, per fare degli esempi, la storia antica, la storia medievale, la storia moderna e quella contemporanea, ognuna delle quali ulteriormente suddivisa per ambiti, per paesi, per tendenze, per stili e così via.
Oltre alle discipline storiche, vi sono le discipline critiche, le quali, al contrario delle precedenti, si pongono il problema di formulare anche dei giudizi di valore sulle opere d’arte, contribuendo non poco alla loro valutazione anche sul piano commerciale …
Ad attribuire tuttavia un valore artistico ad un’opera, soprattutto moderna, non è solo una disciplina specifica, come la critica d’arte, ma anche una serie numerosa di fattori concomitanti tra loro collegati, tra i quali la moda e il gusto dell’epoca, il mercato dell’arte e il collezionismo; a questi elementi va aggiunta, non ultima, la capacità dell’opera stessa di autopromuoversi per motivi soprattutto contenutistici.
Le vite de più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri: descritte in lingua Toscana, da Giorgio Vasari Pittore Aretino. Con una sua utile e necessaria introduzzione ale arti loro, in Firenze M D L.
Le vite dè più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri: nell'edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550
Il primo grande critico e storico dell’arte è stato Giorgio Vasari (Arezzo 1511-Firenze 1574). In quest’opera, di eccezionale importanza per le informazioni storiche e per le analisi critiche sugli artisti compresi tra Cimabue (notizie 1272-1302) e Michelangelo (1475-1564), Giorgio Vasari sostiene il carattere non solo evolutivo, ma anche migliorativo dell’arte, almeno per quanto attiene ai secoli da lui presi in esame.
Vasari, infatti, sosteneva che, per quanto bravi potessero essere stati gli artisti precedenti, come Giotto, il punto d’arrivo, o comunque di difficile superamento qualitativo, era rappresentato dall’arte di Michelangelo, suo contemporaneo. Ancor oggi, il libro del Vasari costituisce una fonte ricchissima di dati e di conoscenze per lo studioso e per lo storico dell’arte.
E, per quanto riguarda la comunicazione, esiste un’arte che, epoca dopo epoca, riesce a “comunicare” sempre di più e/o sempre meglio?
5. Ciò che viene indicato dalle leggi di mercato.
Per quanto possa apparire sconcertante, il valore attribuito all’opera d’arte da parte del mercato tende a coincidere con il suo valore culturale.
Ovviamente, stiamo parlando del grande mercato dell’arte, quello che, localizzato presso grandi compagnie internazionali di vendita, muove ingenti quantità di denaro, intorno, comunque, ad opere d’arte, sia antiche sia moderne, di riconosciuta importanza.
Salvo eccezioni, le valutazioni fatte dal mercato non possono, infatti, allontanarsi troppo da quelle individuate, anche indirettamente, dalla critica d’arte e dalla disciplina storica, in quanto verrebbe meno il principio stesso della proporzione diretta tra la qualità di un prodotto e l’entità del suo valore di scambio all’interno delle attuali logiche di mercato.
Si parla, infatti, per descrivere la spirale spesso perversa di questa logica economica, di sistema dell’arte. Con questa definizione si intende indicare un meccanismo nel quale tutti i valori effettivi si trovano congiunti con quelli più direttamente speculativi, grazie alla concatenazione di una molteplicità di soggetti coinvolti a valorizzare l’opera anche da un punto di vista commerciale: l’artista stesso - quando è vivente -, il mercante, l’acquirente, il collezionista, il critico, le riviste d’arte e così via.
George Segal, Ritratto di Sidney Janis con quadro di Mondrian, 1967
Il collezionista d’arte moderna e contemporanea, Sidney Janis, è ritratto dall’artista George Segal, uno degli artisti più famosi della Pop Art, accanto ad un’opera della sua collezione, un capolavoro di Piet Mondrian.
Il gesto del collezionista, con il braccio proteso verso l’opera, indica un atteggiamento di protezione e di giusto orgoglio nei riguardi della sua scelta.
Certamente si tratta di un buon investimento, ma è altresì vero che solo un reale amore per l’arte fa scegliere le opere giuste!
Il ritratto del soggetto è realizzato, secondo la consuetudine dell’artista, mediante un effettivo calco in gesso della persona.
6. Ciò che è ambito e raccolto dai collezionisti.
Il collezionismo è stato ed è tuttora una delle forze più propulsive per la produzione dell’arte, in quanto rappresenta molto spesso la principale fonte di reddito per l’artista, diventando quindi il principale mezzo di sostentamento per poter continuare a produrre altre opere.
Storicamente molti collezionisti sono stati dei veri e propri mecenati dell’arte, aiutando i loro artisti in vari modi.
Il termine mecenate deriva dal nome proprio di un famoso personaggio, Mecenate, vissuto nell’epoca più fortunata della storia di Roma, amico intimo dell’imperatore Cesare Augusto (63 a C - 14 d C) e protettore dei due più grandi poeti romani, Virgilio e Orazio.
Tra i primi grandi mecenati e collezionisti dell’arte italiana dobbiamo ricordare innanzitutto Cosimo de' Medici, signore di Firenze, il quale, nella prima metà del Quattrocento, si era circondato dei più grandi letterati ed artisti del tempo; anche il figlio Lorenzo, detto il Magnifico, anche se con minore impegno mecenatico, avrà ospiti nel suo palazzo fiorentino grandi personalità del tempo, tra cui Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli e Luca Signorelli.
É anche vero, tuttavia, che, da un punto di vista generale, il collezionismo, per quanto colto, non può offrire di per sé un’automatica garanzia del valore oggettivo delle opere raccolte, perché molte collezioni d’arte, soprattutto in America, sono state spesso determinate da ragioni del tutto soggettive e quindi talvolta opinabili. Infatti, molto spesso, nelle collezioni private, si possono reperire opere di diversissima provenienza e di contrapposta qualità.
Andy Warhol, Dollar Bills, 1962.
In quest’opera, Andy Warhol (1928-1987), uno dei grandi protagonisti dell’avanguardia americana e tra i fondatori del celebre movimento della Pop Art, un movimento che assumeva come contenuto dei dipinti oggetti molto comuni, per l’appunto popolari, della vita quotidiana, realizza questa grande composizione accostando l’una all’altra delle immagini di banconote in dollari.
Il significato dell’opera è molto semplice: tutti questi dollari alludono alla ricchezza, ma, nello stesso tempo, anche al fatto che persino l’immagine più volgare della ricchezza, vale a dire il denaro, può diventare un contenuto, come qualsiasi altro, della rappresentazione e dell’arte. Insomma, come dire: niente è volgare, neppure il vile denaro, nell’arte!
È questa la comunicazione … warholiana.
7. Ciò che viene esposto nei musei e nelle gallerie d’arte.
Possiamo affermare che le opere esposte nei musei e nelle gallerie pubbliche e private di un certo rilievo rispondono a requisiti notevolmente alti di qualità formale e di importanza storica.
Il museo, infatti, conserva ed espone, secondo criteri sempre diversi, che si sono succeduti nel tempo, e che si differenziano anche per interessi e per fini differenti da luogo a luogo, opere di grande rilevanza sia storica e documentaria sia artistica ed estetica.
Le collezioni di un museo, per quanto grande esso possa essere, non sono mai sufficienti, tuttavia, a raccogliere l’infinita varietà della produzione artistica di un’epoca o di un paese.
Il museo, pertanto, se da una parte garantisce il valore delle opere esposte, dall’altra offre solo una testimonianza molto parziale della quasi infinita produzione artistica, che giace dispersa nel territorio in una varietà estrema di forme, che comprendono anche, per fare degli esempi, i monumenti e le stesse architetture.
Le opere d’arte, infatti, non sono solo dipinti e sculture: paradossalmente, anche l’edificio stesso del museo è stato ideato e creato da un artista, un artista molto particolare, che è l’architetto.
Guggenheim Museum
Guggenheim Museum
Guggenheim Museum
Guggenheim Museum
Questo famoso museo di New York, fatto progettare dal grande collezionista Salomon R. Guggenheim (1861-1949) all’architetto Frank Lloyd Right (1869-1959), consiste in una sorta di gigantesca spirale, che si inflette verso il basso.
Infatti il percorso di visita del museo parte dall’ultimo piano, per scendere lungo una larga rampa in dolce discesa fino al pianoterra. La concezione espositiva, con le opere esposte tutt’attorno aquesto nastro ininterrotto, è decisamente anticonvenzionale, se non addirittura rivoluzionaria.
La provocazione voluta dall’architetto non è molto dissimile, in fin dei conti, da quelle di molte opere esposte al suo interno: il rapporto tra la sfida rappresentata dalle opere moderne e il coraggio costruttivo di Wright sono da porre sullo stesso piano di significato e d’importanza.
Per ampliare il numero delle opere esposte, è stato recentemente costruito, accanto all’edificio di Wright, in netta contrapposizione stilistica, un nuovo corpo museale, progettato come un severo parallelepipedo, dall’architetto Charles Gwathmey.
8. L’insieme dei valori e dei beni che caratterizzano un paese, un territorio, una cultura.
Una concezione sociologica dell’arte non può non prendere in considerazione anche le produzioni artistiche cosiddette minori, come anonimi affreschi in sperdute chiesette o oggetti di lavoro splendidamente decorati, e quelle realizzazioni che, apparentemente lontane da una consapevolezza artistica, appaiono comunque dotate di un’alta qualità estetica, si trattasse anche di una fabbrica dismessa e di un vecchio ponte, che vengono studiati dalla cosiddetta Archeologia Industriale, o di una casa rurale, che interessa la storia dell’architettura “senza architetti”.
Il mondo è pieno di bellezze non catalogate e comunque non difese, nel nostro paese come in molti altri, soprattutto in quelli più poveri e non ancora sviluppati.
Solo una mappatura implacabile di un territorio porterebbe alla luce un’infinità di manufatti di rilevante importanza storica e documentaria ed impedirebbe il perpetuarsi di scempi, di rapine e di sparizioni, che arricchiscono individui senza scrupoli.
Molti di questi manufatti sono stati realizzati non da un grande nome dell’arte o dell’architettura, ma dalle anonime mani di qualche ingegnoso artefice.
Non per questo delle opere figurative - come l’affresco in una piccola chiesa, che potrebbe essere quella di San Proculo, a Naturno (Merano) - o degli spazi edificati per abitare, come i trulli di Alberobello, sono da considerarsi meno importanti, da un punto di vista documentario e storico, di qualche più famoso dipinto o di qualche più celebre edificio.
Tutto l’insieme di queste cose, prodotte da mani ignote, ma comunque con un alto senso della bellezza e dell’arte, costituisce il tessuto strettamente intrecciato dei valori - o “beni” - culturali di una nazione o di una civiltà da difendere, conservare e rinnovare.
I luoghi dell’arte.
Una volta che abbiamo cominciato a comprendere cos’è un’opera d’arte, anche se molto a grandi linee, possiamo iniziare a seguirne le tracce sul terreno: dove portano questi indizi?
Dobbiamo predisporci a un grande viaggio, perché, come vedremo, l’arte è un po’ dappertutto. Ci assedia e non ce ne accorgiamo. Improvvisamente scopriremo quanto essa è importante e quanto poco facciamo per conoscerla, apprezzarla e comprenderla.
L’arte è una grande fatica, in tutti i sensi. Per questo, molti di noi passano accanto alle opere d’arte, fingendo di non riconoscerle.
Riconoscere l’opera d’arte significa fermarsi, iniziare con essa un colloquio ed accettare di essere interrogati da essa: l’opera interroga ognuno di noi, interroga la nostra sensibilità e la nostra cultura.
Moda a metà dell'Ottocento