Gene

Dal punto di vista della comunicazione visiva: la mappa del genoma umano e di qualsiasi altra forma vivente – questa straordinaria scoperta scientifica che continua a produrre incessanti studi, ricerche e applicazioni pratiche - si dispiega per l’appunto come una mappa borgesiana (quella mappa, che, in un famoso racconto, lo scrittore immaginava essere stata disegnata dai cartografi dell’impero grande quanto il territorio stesso). Questa mappa ricopre tutto il vivente, di cui visivamente fa apparire il segreto inconfessabile: tutte queste forme, dal batterio all’uomo, sono geneticamente simili, variando per pochi, infimi e fondamentali dettagli! Mi sembra di ricordare che la differenza tra l’uomo e lo scimpanzé sia, geneticamente, così ridotta da lasciare qualche dubbio in occasione di alcuni incontri …

The Human Transcript Map

The Human Transcript Map

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/SCIENCE96/

Se clicchiamo, nella mappa, sui punti di connessione, apparirà immediatamente visibile la straordinaria affinità grafica di tutti i rilevamenti. Non credo che nulla di altrettanto sconvolgente possa colpire il profano, quanto quest’esperienza che gli conferma, nello stesso tempo, sia la relatività della sua presenza sul pianeta vivente sia la rivoluzionaria conferma di appartenere contemporaneamente ad una totalità coerente di forme biologiche.

I rapporti filogenetici fra i cinque regni della natura vivente sono stati ampiamente analizzati dalla scienza. Ciò che sconvolge la nostra convenzionale visione del mondo è il pensiero della sua comune essenzialità genetica. La molecola del DNA può essere intesa, dunque, come modello di base di una familiarità del vivente, di tutto ciò che vive! Il DNA è, in effetti, la chiave d’accesso alla totale riproduzione (è più corretto usare il termine di replicazione) di tutti i viventi, alla loro ibridazione, alla loro mutazione, data la loro familiarità genetica. La differenziazione tra tutte queste forme di vita è data solo da una diversa articolazione della molecola comune del DNA. Questa la grande matrice! Genie, nome scelto non a caso nei laboratori del Polytechnic Institute in Virginia, fu, nel suo tipo, il primo esemplare di una nuova specie combinata con l'uomo: una scrofa, il cui patrimonio genetico è stato addizionato con un gene umano e un gene di topo (servito per trasferire il frammento di DNA umano sul bersaglio). Questa l'attuale magia: inscrivere l'ordine biologico in una prospettiva che non è più quella della selezione sulla riproduzione, ma della selezione sull'evoluzione.

Ma al sentimento di meraviglia per questo mondo segreto, non può non far seguito una riflessione ben più amara sulle possibili conseguenze di queste straordinarie ricerche e scoperte. Conseguenze che, come ben sappiamo, possono sconvolgere il mondo in bene o in male.

Le nuove tecnologie dell'era genetica permettono agli scienziati, alle corporazioni e ai governi di manipolare il mondo naturale al livello principale: quello dei componenti genetici che sottendono lo sviluppo di tutte le forme di sviluppo sulla Terra.

(J. Rifkin, "Il secolo biotech: Il commercio genetico e l' inizio di una nuova era", Baldini e Castoldi, Milano, 1998, p. 121) Se il ventesimo secolo è stato caratterizzato dalle scoperte della fisica e della chimica, il ventunesimo sarà profondamente condizionato dalle scienze biologiche e da tutte quelle tecnologie che consentono di decifrare le informazioni contenute nel DNA. La manipolazione dei geni ha già provocato rilevanti mutamenti nei diversi campi dell' economia, dal settore agricolo a quello energetico, farmaceutico e medico, ponendo le basi di un nuovo mondo bioindustriale. È cominciata una nuova corsa all'oro. Non è un caso che governi e le multinazionali stiano scandagliando i continenti alla ricerca di microrganismi, piante, animali, e persino esseri umani, con caratteristiche genetiche rare che potrebbero avere un possibile sfruttamento economico nel mercato genetico.

La mutazione è un concetto che riguarda soprattutto l’organismo, quest’insieme di organi finalizzati alla costituzione di un essere vivente dotato di una propria individualità, che continuamente riproduce se stessa. L’organismo, come si sa, è un modello esplicativo, che condensa nel suo concetto l’infinita variabilità delle forme di vita, dalla cellula all’elefante, ma, in chiave più generale, definizioni come essere e corpo, animato e vivente: l’inclusione dell’uomo nel concetto di organismo, vale a dire nella scienza del vivente, non è privo di conseguenze. Infatti, l’inclusione dell’uomo nella scala del vivente è determinata dalla sua assoluta somiglianza biologica con tutti gli altri organismi esistenti, diventando scientificamente non più un corpo, ma un organismo esso stesso.

L’elaborazione e l’approfondimento di questa concezione scientifica trasforma l’organismo da modello inizialmente esplicativo in un modello tecnologico: se il codice di base di ogni organismo è il medesimo, allora è possibile mutare facilmente un organismo in un altro. Questo facilmente la dice lunga sulla paranoia del DNA, a cui sono state attribuiti dei poteri non distanti dalla magia, incarnati in vocaboli come controllo dei geni, clonazione, informazione genetica e così via. Il DNA apre, infatti, la dimensione del mito attuale della creazione.

Nonostante ciò l’organismo è la principale posta in gioco della ricerca scientifica: si tratta niente di meno che della produzione del vivente, compresa la specie umana e altre specie possibili. Specie mutate: l’organismo è non più il frutto di una autoriproduzione biologica, ma è divenuto l’espressione di un programma, di un linguaggio, di un’informazione. La sua mutazione non va, come poeticamente evocato dalla letteratura romantica, in direzione di una nuova forma, ma va verso la perdita di ogni forma, di ogni sostanza, di ogni materia. La sua mutazione è il salto nell’immateriale. L’umano è diventato sperimentalmente amorfo. Per tutto ciò la mutazione possiede, in un certo momento dell’evoluzione del concetto dall’Ottocento ad oggi, una metamorfosi improvvisa, un effettivo cambiamento di stato: dalla metamorfosi letteraria dei corpi alla dematerializzazione elettronica (e matematica) dell’organismo.

Il tema della mutazione biologica, centrale nell’attuale ricerca biogenetica, possiede una vasta risonanza nell’immaginario collettivo e quindi nelle arti narrative contemporanee, dalla letteratura al cinema, dalla fotografia all’illustrazione, ma giunge da molto lontano, come un’ossessione e un terrore che perseguita l’uomo sin dall’antichità, quanto meno dalla classicità, se non vogliamo risalire alle fonti archetipe della cultura egizia: il trasformarsi in asino d’oro di Lucio, il protagonista del celebre racconto di Apuleio, non è che il più noto episodio del mito eterno della metamorfosi, ovvero del cambiamento biologico di stato, profondamente collegato con il succedersi del giorno e della notte e con il ciclo stesso della natura, benevola e crudele.

Un corpo senza organismo è tutto rovesciato, per così dire, al suo esterno. Io sono un corpo ed ho un corpo, aveva intuito Nietzsche. Remo Bodei (Le logiche del delirio. Ragione, affetti, follia, Laterza, Bari 2000) giustamente afferma che occorre respingere le concezioni che dichiarano il corpo 'prigione dell'anima' e pensare che non soltanto si ha un corpo, ma si è un corpo (sessuato), il quale costituisce il centro del nostro orizzonte, il luogo da cui gli organi di senso e la mente, si affacciano sul mondo, la sede del piacere, del dolore e di tutte le emozioni.

Nello stesso tempo, è anche necessario chiedersi in che misura, tuttavia, il corpo ci appartenga. Al pari delle nostre emozioni, anche le nostre cellule si moltiplicano e muoiono o le funzioni organiche si svolgono senza bisogno di attendere il nostro permesso. L'interrogativo se siamo ospiti o padroni del nostro corpo e del nostri sentimenti, ci rammenta Bodei, viene oggi modificato dall'avvento delle biotecnologie: esse sono infatti in grado non solo di modificare l'organismo dell'individuo, ma di incidere anche su quello delle generazioni future. Quando la "natura umana" diventa virtualmente costruibile, quando i nostri sentimenti nei confronti della nascita, della morte, delle malattie, dei genitori biologici cambiano radicalmente, quando ciò che è artificiale finisce per coincidere con ciò che è naturale, allora anche la grana delle nostre passioni è destinata a cambiare.

La vera ecologia non può non partire da questi assunti e trasformarsi in ecologia della mente. Dentro questa dimensione l'incessante attività distruttiva e ricostruttiva dell'uomo, forma incarnata di uno Shiva moderno, che traduce nell'artificiale e nell'arte­fatto ciò che la natura ha impedito di nascere.

Rispetto alla rivoluzione culturale del suo secolo, che Benjamin magistralmente individuava nella riproducibilità tecnica (Walter Benjamin, Das Kunstwerk in Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (1939), Frankfurt am Main 1955; tr. it.: L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966), il passo attuale è ancor più sconvolgente: non il dipinto o l’immagine fotografica è replicabile, ma l'uomo stesso, non a caso divenuto un tema cinematograficamente replicabile. Figura assai nota alla fiction, chiamato il replicante (si pensi a films come Blade Runner, di Ridley Scott, del 1982, tanto per fare un esempio preclaro), ma superata dalla stessa realtà della clonazione. Ciò che provoca la necessità di una profonda riflessione epistemologica, prima ancora che etica, è la constatazione che la possibilità di riprodurre un corpo non dipende più direttamente dal corpo stesso. Non è più la naturalità dell'atto sessuale a determinare la fecondazione e la procreazione, ma l'artificio, che tenteremmo di definire alchemico, di una creazione bioingegneristica. In questo scenario persino la procreazione in vitro e la banca dello sperma appaiono come appartenenti ad un'epoca passata.

Non è mai fuori luogo sollevare serie preoccupazioni parlando di geni. Una cultura capace di manipolare i geni può rischiare - la letteratura e l’arte ce lo insegnano, profetizzando - di diventare una civiltà produt­trice di "geni", una civiltà di superuomini, sele­zionati su un canone ideale, conseguenzialmente classico! Manipolare i geni per modificare la vita stessa! La letteraria figura di Frankestein, inventata da Mary Shelley, sembra incarnarsi tra le mani di un possibile ingegnere genetico, a cui l’antico principio deontologico della scienza, che è quello di agire solo per il bene e il benessere dell’umanità e del suo ambiente (!), possa dare fastidio …

Si parla, per nominare queste nuove forme manipolate, di “creature”. Il termine creatura apre la questione di cosa s’intenda oggi per creatore. Lo scienziato molecolare, l'ingegnere biochimico, sono dei creatori o dei semplici inventori? “Mettere al mondo” nuove forme di vita, clonate o ibridate, comunque "mostruose", è ancora un'invenzione? La demiurgicità dell'artificiale non scopre: produce. Questa la futura arte. Post-arte. Se essa declina irreversibilmente verso la tecnica!

Vi è qualcosa di straordinario nel tentativo, da parte degli scienziati, di far nascere la vita organica da componenti primarie. La questione della nascita originaria della vita: il racconto scientifico della genesi (da individuarsi ad una data approssimativa­mente uguale a 4,5 miliardi di anni fa per la condensazione del sistema solare e la conseguente nascita di un primo composto organico sul pianeta terra) è quasi giunto oggi alla sua verifica sperimentale.

Eduardo Kac, Genesis, 1999

Eduardo Kac, Genesis, 1999

Eduardo Kac, Genesis, 1999

Eduardo Kac, Genesis, 1999

Eduardo Kac, Genesis, 1999

Eduardo Kac, Genesis, 1999

L’artista Eduardo Kac, in quest’opera, intitolata Genesis (1999; Ars Electronica, Linz) si lancia in una provocazione, inaudita e intollerabile per un fedele: crea, in tempo reale, durante l’esposizione, una nuova forma di vita, il cui codice genetico è stato realizzato connettendo insieme elementi della sequenza del genoma corrispondenti alle singole lettere della frase essenziale del libro della Genesi:

Domini (l’uomo) sopra i pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie.

Quale che sia l’intenzione filosofica ed epistemologica dell’artista - e non è affatto chiara - ciò che si evince dall’opera è la dimostrazione della nuova dimensione demiurgica, in cui, a creare inedite forme di vita non è più un dio benevolo, ma l’affanno competitivo di uno scienziato o di un artista!

Chapman, Zygotic acceleration, biogenetic, de-sublimated libidinal model , 1995

Chapman, Zygotic acceleration, biogenetic, de-sublimated libidinal model , 1995

Ecco cosa intendo per un’arte, che ha nuovamente contenuti, anche se … sensazionali, grazie ai quali ci si può illudere di essere ancora capaci di comunicare visivamente una coscienza oppositiva e critica! Con quest’opera “terribile”, dal titolo significativo Zygotic acceleration, biogenetic, desublimated libidinal model (enlarged x 1000), 1995, i fratelli Jake e Dinos Chapman, richiamano la nostra attenzione non solo sull’uso strumentale dei bambini come oggetti sessuali, ma anche come donatori di organi e come bersaglio di possibili sperimentazioni genetiche. La mutazione e la violenza sul corpo appartengono allo stesso ordine!

La posizione di chi difende la manipolazione genetica delle sostanze viventi può essere così riassunta:

Qualcuno crede che si possa disattivare la ricerca biogenetica? Qualcuno crede che si possa vietare la ricerca? Qualcuno crede nella difesa degli organismi naturali contro quelli geneticamente modificati? Io non ci credo. In primo luogo perché non esistono organismi naturali, si tratta unicamente di diversi gradi di modificazione artificiale, e la biogenetica non è che la più avanzata delle modificazioni artificiali, quindi la più pericolosa ma anche la più ricca di potenzialità.

La mappatura, l’ordinamento in sequenza e l’analisi del genoma umano costituiscono, dunque, un progresso nella conoscenza di sé. Così si legge oggi nell’editoriale della rivista scientifica Nature, che pubblica on line la mappa del codice genetico umano, fatta dal Progetto Genoma, il consorzio pubblico di ricercatori internazionali, guidato da Frank Collins, i cui dati sono disponibili a tutti senza restrizioni nel database elettronico GenBank.
Il programma internazionale Genoma Umano era nato nel 1990 allo scopo di disegnare la mappa integrale del patrimonio ereditario della specie umana e doveva durare 15 anni, ma i progressi della tecnologia hanno permesso di raggiungere più rapidamente gli obiettivi prefissi. Per sviluppare questo programma era nato il National Human Genome Research Institute (NHGRI). A partecipare al progetto, già dal 1992, sono stati circa duecentocinquanta laboratori internazionali (privati e pubblici). Tra questi: la Perkin Elmer Corporation, il Washington University Genome Sequencing Center (Usa), il Baylor College of Medicine Human Genome Center(Usa) , il Sanger centre (Gran Bretagna), Genome Sequencing Centre Jena (Germania) , il Genethon (Francia), lo Human Genome Centre (Giappone).

Mentre sull'inglese Nature appare la sequenza elaborata dal consorzio pubblico internazionale, l'americana Science riferisce la sequenza raccolta dalla Celera Genomics, l'azienda privata diretta dal genetista Craig Venter, che ha consentito un accesso limitato ai dati a partire dal proprio sito. Sebbene i due gruppi di ricercatori abbiano seguito metodi diversi, le due mappe non presentano sostanziali differenze ed entrambe rivelano qualcosa di inaspettato: il nostro patrimonio ereditario non comprende che 30.000 geni. Dunque, il patrimonio ereditario degli uomini non è più complesso di quello degli esseri viventi che li precedono nella scala degli esseri viventi: i nostri geni sono circa la metà di quelli di un moscerino e un quinto rispetto a quelli che ci si aspettava di avere. Anche se entrambe le sequenze pubblicate contengono ancora dei vuoti, dei frammenti di genoma mancanti, la mappa è quasi del tutto completa, con un livello di accuratezza che gli scienziati chiamati a valutare la qualità delle ricerche ha giudicato assai prossimo al cento per cento. In tutto questo è già polemica: oggi i rappresentanti del Progetto internazionale hanno accusato Celera di aver realizzato un prodotto inferiore, fallendo negli obiettivi centrali e frenando la scienza a causa della diffusione parziale dei dati. Venter si è difeso, precisando che i dati (non minori rispetto a quelli degli altri) sono consultabili gratuitamente dagli scienziati che intendono utilizzarli per le loro ricerche e non a fini commerciali.

Il valore e le conseguenze di questa scoperta diventeranno sempre più chiare nel tempo. Già da adesso si cominciano a valutare le implicazioni per ciò che riguarda la medicina: la mappa completa del genoma umano può dare ai medici il materiale del quale hanno bisogno per predire, prevenire e anche trattare molte malattie, soprattutto ereditarie.

Oltre a visitare i siti degli istituti direttamente coinvolti ( si veda “la mappa delle mappe”, nella guida ai siti del Progetto Genoma, a cura di Wanda Marra:
http://www.mediamente.rai.it/docs/approfondimenti/010212_1.asp).
Per tentare di saperne di più sull’argomento si può consultare il prezioso database TIGR (TDB), o ricercare informazioni sulla teoria e le tecniche dell’ingegneria genetica sul sito del Biotechnology Information Center.
http://www.biogea.org e http://www.nhgri.nih.gov/ offrono ottime informazioni generali.
Un dossier molto ricco e molto informato è The Human Genome Project , pubblicato dal New York Times. Il Council for Biotechnology Information offre notizie, ricerche e informazioni sulla biotecnologia.
Il dibattito su se, come e perché si dovrebbe favorire l’uso delle tecnologie genetiche è complesso e ben lontano dall’essere arrivato a una qualche conclusione definitiva: il Council for Responsible Genetics, monitora lo sviluppo delle nuove tecnologie della genetica e si occupa del loro uso responsabile; GeneWatch UK è un’organizzazione indipendente che si occupa dell’etica e dei rischi dell’ingegneria genetica: è in Rete anche un progetto per la bioetica, Bioethics Internet Project realizzato dall’Università della Pennsylvania.