Misura

La scala del visibile e quindi della sua comunicazione si è oggi enormemente estesa. Non tutto ciò che è visibile è tuttavia misurabile e dunque visivamente comunicabile, così come, d’altro canto, non tutto ciò che è invisibile all’occhio umano è impossibile da misurare. Anche il satellite s’ammala! La misura, per eccellenza, dell’informazione è data dalla capacità della rete dei satelliti a scambiare dati con il pianeta.

La misura ha bisogno di misurazione … in maniera prudenziale. Come scrive Margherita Petranzan (Il limite della misura, sta in “Anfione e Zeto”, rivista d’architettura e arti, 14, 2002, p 11),

la misura prudenziale è l’attesa, perché se non fossimo in attesa non potremmo declinare il tempo né al passato né al futuro: l’attesa è dunque la vera misura del tempo.

La questione del limite tra il noto e l'ignoto, un tema che ha attraversato l'intera storia della letteratura e dell'arte dai suoi esordi omerici, è tuttavia ancora più ampia di quella rappresentata dallo scontro tra visibile e invisibile: l'ignoto può e in che modo e per chi trasformarsi in noto? Un romanzo di Daniele Del Giudice, Atlante Occidentale (Einaudi, Milano, 1985) riproponeva, proprio negli anni in cui la cultura della modernità maggiormente rifletteva sulla sua crisi, una riflessione su quest’antico, occidentale, interrogativo.

Tutto il racconto, infatti, non è che un pretesto per un'indagine sui confini dell'arte e della scienza, e, dunque, sui confini stessi del sapere: un'interrogazione che ha statuto e storicità solo tuttavia se la commisuriamo dentro la logica della tradizione razionalistica del moderno, vale a dire prima della coscienza postmoderna della fine definitiva dei grandi e illusivi racconti della scienza, della storia, della politica e dunque della loro definitiva separazione dalla Legge.

La trama ruota attorno all'espediente di uno scampato scontro aereo tra due velivoli personali, condotti dai due protagonisti, uno scienziato e un letterato, tra i quali fiorirà una profonda intellettuale amicizia; le loro affinità elettive si rinsaldano ulteriormente nel riconoscimento che, nel proprio ruolo, ognuno dei due ha identificato la presenza drammatica di una soglia "invalicabile" nel proprio sapere, coincidente con il limite oggettivo a cui la specifica conoscenza è pervenuta; da una parte il confine “ultimo” della dimensione subatomica, dall'altra il confine semantico e rappresentativo (il limite "logico"...) della parola. Quale strumento di misura può davvero dimensionare, cioè ricondurre a modelli, questi imprendibili campi?

Al sistema classico MKS, metro chilogrammo secondo, che indicavano misure a scala umana, si sono via via aggiunte altre sempre più sofisticate e complesse, prefissate con termini che ne indicano, in una scala postumana (mega, giga, tera, peta, exa, zetta, yotta; micro, nano, pico, femto, atto, zepto, yocto), ordini di grandezza che segnano passo passo l’inarrestabile evoluzione della tecnica e della scienza (le grandezze virtuali e simulative, l’esperienza extraplanetaria, l’irreversibile mutazione biologica del pianeta). Gli OGM, gli organismi geneticamente modificati, per fare un esempio significativo, non sono più misurabili: essi contengono troppe incognite nella loro relazione con il naturale!

Ciò che sconvolge ogni tradizionale pensiero è che ci troviamo per la prima volta di fronte a creazioni e a creature effettivamente e completamente artificiali: il nuovo design, robotico, biogenetico e nanotecnologico, progetta invisibilmente e incessantemente la “nuova carne”.

Le grandezze di riferimento di ognuna delle nuove tecnoscienze che stanno rapidamente mutando le condizioni della vita biologica sulla terra, la robotica, la nanotecnologia e l’ingegneria genetica, non sono più misurabili con gli strumenti abitudinari, richiedendo l’adozione di nuove regole, di nuovi provvedimenti, di nuove leggi.

Ma è possibile prendere delle misure, a livello internazionale, atte a controllare la crescita esponenziale dell’attività distruttiva della tecnica? Essa prende ormai forma in ogni aspetto del globale: inserendosi nella modellizzazione dei processi economici planetari, nei flussi finanziari e dell’informazione, sfuggendo persino al controllo degli Stati.

Ciò che, di fronte al portato estremo della ricerca tecno-scientifica, fa definitivamente cadere la possibilità di adottare ancora sistemi di misurazione che tengano conto di una scala antropometrica (e antropologica) è la dimensione invisibile dei nuovi enti logici su cui operano le tecnoscienze. Tra questi, innanzitutto, il gene, la cui importanza risulta essere non solo scientifica, ma anche e soprattutto economica: il gene, essendo programmabile, è brevettabile. Questa sua specifica caratteristica comporta almeno tre conseguenze sconvolgenti: il pensare l’organismo vivente come una materia di fabbricazione, l’espressione di un programma, il risultato della traduzione di sequenze, che possono essere lette, trascritte e copiate in diversi contesti; la possibilità di creare corpi come sculture viventi; il concepire l’organismo non solo come uno strumento di riproduzione artificiale e di mutazione (Dna ricombinante), ma come un’estensione del diritto di proprietà, su specifiche sequenze di genoma, di un’azienda o di una società finanziaria.

Anche l’umano è dunque diventato sperimentale, in quanto sommatoria deanimizzata (de-spiritualizzata) di una serie di dimensioni matematizzabili (è il soft!) all’interno di una scala di gerarchie e non di valori: la molecola, la cellula, l’organo, ognuno di questi livelli concepito come entità autonoma, occupabile da un investimento di ricerca e di capitale!

L’imminente era artificiale sta costruendo oggi il proprio mito fondativo: Carlo Formenti, nel suo libro Incantati dalla rete (Immaginari, utopie e conflitti nell’epoca di Internet, Cortina, Milano, 2000, p 120 sgg), riferisce puntualmente il mio pensiero, rafforzandolo.

E.L.F. ha colto con precisione il senso di queste esperienze [Stelarc, Antunez, Orlan], descrivendole come vere e proprie cerimonie religiose, come celebrazioni rituali di un mito delle origini: “osservando Stelarc, sembra di vedere le macchine cibernetiche mentre cercano il loro profeta, il loro testimone, il loro angelo, come i protagonisti di un lontano futuro che si volgessero a cercare nel nostro presente il cantore delle loro gesta mitiche.

Forse le performance di Stelarc, Antunez, Orlan, più ancora che le opere di letteratura e di cinema di fantascienza, posseggono, tuttavia, anche l’inconsapevole (?) funzione di farci adattare alla mutazione prefigurandola. Tra tutti gli “artisti” della mutazione, Stelarc - l’uomo cyborg, collegato nelle sue azioni al computer, che innesta nel suo corpo elettriche informazioni - è un esemplare angelo della mutazione, entità che annuncia, con la sua apparizione, l’avvento di un mondo in cui la nostra biologia sarà sempre più affiancata ed infine sostituita da altri esseri, meccanici (i robot), digitali (gli avatara), postumani (i cloni), combinatori (le chimere). Stelarc ha consegnato il suo corpo alla tecnica, ma è facile svelare a questo punto l’oscuro mistero della sua danza dionisiaca: il corpo mutante mette in scena la sofferta ma vana resistenza alla sua sparizione. È la tesi precisa di Terminator, il cyborg che proviene dal futuro.

Abitanti tecnologici di un lontano futuro forse guarderanno a questo tempo come al tempo dell’origine, come al tempo della fondazione, di cui questi “artisti”, avendo dimostrato di appartenere già ad un mondo altro, meccanico, privo di dolore, nel quale la metafisica dello spiritual si è trasformata nella metafisica del soft, costituiranno la base del loro immaginario mitologico.

Le icone simboliche del futuro trovano il loro corrispondente nell’antico mito classico di Talo, il quale può essere considerato come il fondatore della tecnica antica, grazie all’invenzione degli strumenti di misura. Alla tecnica veniva attribuita dal mito una responsabilità terribile: quella di essersi voluta contrapporre alla creatività immediata, istintuale ed emozionale dell’uomo e, in modo specifico, all’azione incontrollata e incontrollabile, corporea e materialmente biologico-esistenziale dell’artista.

Dedalo, l’artefice caro ad Atena, uccide, infatti, il suo apprendista, Talo, per aver progettato il tornio, la sega e il compasso, strumenti tecnici di precisione, che non solo potenziano, con il loro movimento meccanico, l’azione della mano, ma che minacciano di sostituirsi ad essa, trasformandosi evolutivamente da protesi artificiali occasionali ad estensioni definitivamente articolari dell’uomo, mutandone la natura da biologica a biomeccanica.

L’esecuzione di Talo è esemplare: viene fatto precipitare dall’alto dell’Acropoli da chi, come Dedalo, vuole continuare a creare artisticamente, senza vincoli nè misure. L’artista vuole creare con le proprie forze e il suo operare è improvviso e imponderabile: l’artista non pone vincoli al suo fare e non utilizza misure di controllo, perché non vuole possedere vincoli e non vuole a sua volta essere controllato. Per questo motivo l’artista può essere considerato come la metafora stessa dell’uomo di fronte alla tecnica.

Il corpo di Talo, schiantatosi alla base della rupe, libera la propria anima, che subitamente s’innalza al cielo, trasformandosi in pernice, uccello dal volo circolare, condannato a ripetere eternamente un volo sospeso sopra il rumore del mondo, sopra la realtà umana del mondo: sopra l’irrisolvibile limitatezza biologica del mondo.

Bibliografia