2. Queste riflessioni determinano un rovesciamento della prospettiva con cui fino a questo momento avevo archiviato e organizzato alcuni dati biografici, avendo avuto cura di prescegliere le informazioni del cosiddetto cursus honorum. Ora ritengo che sia molto più politico offrire se stessi alla crisi. Testimoniare innanzitutto a se stessi cosa si è fatto e come si è tentato di volgere il mondo verso altre direzioni. Anche e soprattutto all’interno della propria vocazione scientifica. Un percorso, dunque, piuttosto che un cursus. Perché non ci rimane che la testimonianza delle proprie azioni da comunicare agli altri, lasciando come eredità l’arazzo istoriato della propria vita. L’enorme fatica fatta per ordire un tessuto di studi e di lezioni, di ricerche e di progetti, che – come tanti tantissimi compagni di sapere hanno fatto e continuano a fare – aveva ed ha come unico scopo quello di produrre calore: scambiando energia.
In questa terra desolata, che nessun fiore d’aprile potrà più allietare, mi propongo di trascrivere – continuamente aggiornando – eventi salienti, così come vengono a selezionarsi ed a ricomporsi nella mente, e dunque tessendo e sciogliendo nodi e aprendo e richiudendo pieghe e accentuando e lenendo piaghe su una tela continuamente ridisegnata dalla macchina analitica della psiche, nella sua tendenziosa selezione dei dati, fingendo una possibile verità.
Una verità esistenziale, quella che, per esempio, spingeva l’autore del tempo perduto a ritornare sul manoscritto della Ricerca per annotarvi via via le impressioni relative alla progressione del proprio trapasso. Una verità data dall’incessante volontà di sapere il sapere e di trasmettere questo sapere, di cui il piccolo disegno autografo di Goya, che mi accompagna da sempre, come un angelo kleeiano, si fa testimone. Un disegno nel quale il vecchio artista, in procinto di morire, si ritrae, i capelli e la barba canuti, sorreggendosi con l’aiuto di due bastoni, mentre muove ancora un passo. Il volto, su cui aleggia un sorriso, è rivolto verso di noi che lo guardiamo. Voglio credere che questo foglietto fosse accluso alla lettera inviata al figlio, nella quale lo invita a passare a salutarlo per l’ultima volta. E, con la stessa penna del disegno, che lo ritrae mentre sembra uscire dalla pagina e dalla vita, aggiunge, Goya, una commovente e, nello stesso tempo sapienziale, ultima dichiarazione: Aun aprendo! E ancora imparo!
A partire da queste prime considerazioni, che iniziano a svolgere il filo rosso di una narrazione, la scrittura comincia inevitabilmente a prendere la forma di un diario in incessante ritessitura: una storia attraversata da una fastidiosa franchezza del tutto anormale. A questa filosofia – a cui fa riferimento, da sempre, la scelta di pubblicare, di raccogliere in dispense e, negli ultimi anni, di mettere on line, senza censure e manipolazioni, la registrazione di ogni lezione e di ogni importante intervento in pubblico – vorrei tenere fede, iniziando questo evolutivo metamorfico indefinito esperimento narrativo.