Alici in Disneyland
Nella vita e nella percezione delle odierne metropoli un ruolo sempre più nodale è quello svolto dai luoghi di vendita, non tanto vendita di prodotti materiali, quanto piuttosto di mood, ideologie metropolitane, culti feticistici liberati dai feticci stessi e riconsegnati agli altari dei loghi.
Si intitolino essi Nike o Prada, Apple o Disney Store, luccicanti apparizioni catturano gli occhi (e spesso i portafogli, ma questo sarebbe un altro discorso…) dei passanti, dei visitatori, e cioé di chiunque.
Laddove nel Rinascimento era d’obbligo entrare nelle grandi cattedrali e se non altro farsi il segno della croce, oggi l’imperativo è pregiarsi d’aver vissuto l’esperienza psico-sensoriale di essere entrati nell’ennesimo luogo del proprio culto post-merceologico preferito, o almeno di averne contemplato - in un attimo di folgorante estasi nel fluire degli eventi… - la scintillante vetrina.
L’unica grande differenza rispetto all’attrazione religiosa delle generazioni che furono è l’illusione del prodotto seriale in prospettiva custom. Le attrattive maschili si differenziano da quelle femminili, secondo stereotipi autoalimentanti e circoli viziosi, e a sua volta il culto adulto si differenzia da quello del bambino, iper-esposto al bisogno di scelte merce-ideo-logiche pressanti ed antitetiche, in qualunque momento, dal gioco al tragitto da e verso casa, alla mitragliatrice a 50 Hz nel/del suo apparecchio tv.
Ipotetico bambino che crescerà a suon di sponsor, diventando adulto insoddisfatto, bevitore di Coca-Cola e mangiatore di McDonald’s, e che qualche anno dopo al ritorno da la belle Paris racconterà orgoglioso di aver trovato un paio di scarpe uniche ed introvabili, incurante dell’ipotesi che fra prima e dopo del suo patto altre dieci o ventimila persone ripeteranno gli stessi gesti.
Cosa c’è di diverso - ripeto - fra il culto ecclesiastico e quello dello shopping (ma forse entrambe le etichette banalizzano e nascondono le dimensioni dei relativi contenitori: prendetele nei loro limiti con le dovute pinze…), se non una diversa illusione di libertà di scelta?
Le persone ci si identificano, ci sciolgono la tristezza, ci investono tempo e denaro, ci credono, e in questo modo alimentano il potere altrui di controllare, e richiudono il cerchio del loro essere, tramite fiduce e debolezze, intimamente controllati.
Nel paesaggio urbano contemporaneo due sono le grandi presenze in più rispetto ad un passato che in realtà secondo canoni già morti ma non ancora del tutto decomposti potrebbe essere considerato come l’altro ieri: le automobili e il sistema espositivo/pubblicitario.
Le prime ci stanno riversando addosso i peggiori uragani che la specie umana abbia mai potuto apprezzare, ed il secondo ci sta condizionando sempre di più (in primis le generazioni più recenti) verso un modello di culti e credi in grado di giustificare - se non addirittura sostenere - l’apparato produttivo/economico coi relativi difetti, che grazie al suo appeal generoso ha modo di rafforzare ed espandere le sue basi territoriali e le sue inter-relazioni interne, quasi fosse un’unica creatura in crescita.
Così come i crociati portavano in terra straniera a costo della loro stessa vita la loro bandiera ideologica, per infiggerla nei petti altrui, a costo della morte, così oggi i grandi nomi che fanno girare l’economia e gli sguardi bramosi di credi della gente portano le loro luminose insegne da New York a Tokyo passando per Dubai, alla ricerca di nuovi adepti.
E mentre un tempo il fattore attraente del credo divino usava intersecarsi e giustificarsi nella casualità territoriali di tribù di post-nomadi, improvvisamente diventate nemiche del senza tetto e del senza dimora, oggi il nuovo culto è addirittura richiesto, atteso ed osannato da tutti coloro i quali hanno già smesso di riporre le loro pulsioni nel precedente regime, disposti a smettere le loro vesti storiche pur di riportare la firma di Yves Saint Laurent o chi per lui, e (verrebbe da dire, più violentemente di prima…) osteggiato e combattuto soltanto da chi, per la necessaria ed altresì preziosa diversità di rotazione del globo, è rimasto alla dimensione (immutabile?) dell’ordine precedente.
Attenzione. In questa logica i concetti si rimescolano fino ad evidenziare collegamenti ad alto rischio.
Volendo fare un vorticoso salto nella storia presente, viene alla mente il tema del terrorismo islamico, e viene alla mente quale sia il nostro nuovo integralismo occidentale. Viene alla mente la concretezza fredda e scottante di una carneficina pura e semplice, nonostante essa sia abitualmente ricoperta da tessuti e tessuti di cronaca quotidiana e pregiudizio, gli stessi tessuti che si ricompongono in forma di bende, amate bende, agli occhi dei litiganti.
E fra i due litiganti, chi è il terzo che gode? Dove sta l’eminenza grigia, e perché siamo stati noi a costruirgli la fortezza, e perché siamo noi a renderle onore?
In quanto designer, o presunti tali, le nostre posizioni, se osassimo sbirciare dalla nostra personale benda, si rivelerebbero doppiamente nevralgiche. Pur nei nostri limiti decisionali (limiti peraltro pieni di buchi), il nostro ruolo si rivela sotto varie luci centrale, e le possibili implicazioni delle nostre scelte concettuali si estendono ben oltre la lunghezza del nostro braccio, nell’internet di cose e meta-cose improvvisamente catapultata dal tavolo frugale della necessità e del vezzo alle logiche più-che-globali (in un secondo la luce fa 7 volte il giro dell’equatore…) del feticismo e dell’adorazione, cimeli di santi viventi e venditori, creature robotiche governate da flussi di dollari come fossero byte, qualche incoscienza, e la certezza che in un nuovo culto (o “cult”) il popolo vorrà sempre nascondersi e sprofondare.
Non esplicito alcuna domanda, perché ritengo di aver gettato i semi per aprirne molte più di quante io stesso ne possa immaginare.
A voi…
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