Postmoderno

 

Come definire la nostra epoca e la nostra cultura? Le definizioni che ven­gono proposte  variano enormemente a seconda che ci si riferisca alla so­cietà umana nel suo insieme, alla cultura, alla scienza o alle arti in maniera specifica.

 

Come ci vogliamo denominare un punto di vista epocale? Le denominazioni epocali del passato sono state pressoché sempre scandite dalla variazione degli stili artistico-architettonici: egizio, classico, greco-romano, bizantino, romanico, gotico, rinascimentale, manieristico, barocco, neo-classico, romantico, moderno … Tutte queste definizioni, anche se non sempre formulate contemporaneamente agli eventi, sono state maturate all’interno di gruppi sociali particolari, adibiti alla produzione di merci di carattere leggero, predisposti ad attribuire i nomi alle cose e non coinvolti direttamente nel progresso del mondo tecnologico. Non s’è mai sentito, infatti, che un periodo venisse denominato per merito di un’invenzione tecnologica o economica, per quanto rivoluzionaria essa possa essere stata: la staffa, il giogo spallare, la moneta cartacea, il mulino ad acqua, la cambiale, la stampa a caratteri mobili, la telefonia, il velivolo aereo … A queste fondamentali scoperte, che hanno cambiato radicalmente la società, contrassegnandone i caratteri fondamentali per lunghi periodi, non si è dato alcun credito rispetto alle derivate di carattere artistico-architettonico.

 

Per la prima volta, oggi, assistiamo all’impossibilità di sopravvivenza di qualsiasi forma di “grande stile” e più probabilmente proprio alla morte di ogni stile. Nello stesso tempo constatiamo un enorme diffondersi di novità scientifiche e tecnologiche, sociali, politiche, economiche e "culturali" tal­mente originali ed inedite da non trovare terreno di confronto e di simili­tudine con nulla di ciò che è avvenuto nel passato.

La collocazione dell'arte accanto a que­ste nuove realtà è rovesciata, nel senso che è essa in qualche misura a dipendere dai grandi rivolgimenti operati dalla cultura tecnologica e scientifica e non più viceversa.

 

Qualsiasi definizione si voglia comunque dare alla nostra epoca, essa non potrà non tener conto dell’insieme di contraddi­zioni sempre più forti di carattere sociale ed economico, che si sono venute accentuando negli ultimi decenni su tutto il pianeta e le cui ferite sono difficilmente risanabili: il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, la disparità demografica tra nord e sud, la con­trapposi­zione religiosa e culturale tra i vari pensieri integralisti, la crisi di valori nel comportamento sociale dell’occidente, l'au­mento dei consumi e degli sprechi e l'im­poverimento delle scorte naturali, lo scontro tra tendenze globalizzanti, tensioni patriottiche ricerca di un’identità culturale, l'incrociarsi dell’organiz­zazione elettronica del pianeta con il nomadismo umano di soprav­vi­venza, la schisi sempre più profonda tra livello delle ricerche scien­tifi­che e utilizzazione possibile di tali risultati per la società nel suo com­plesso.

 

Ciò che sconvolge il nostro pensiero “critico” è constatare che tutto ciò che abbiamo qui delineato, e che configura una realtà da incubo, è perfettamente noto, perfettamente visibile: la comunicazione visiva di questi fenomeni è globale e vanamente nota.

 

Tra tutte le definizioni che sono state proposte e discusse, quella che maggiormente sintetizza, almeno per quanto riguarda l’occidente, questo insieme di tensioni impacificabili e questo nodo di eventi, che non possiamo o, piuttosto non vogliamo più spiegare mediante un’analisi razionale e unitaria - è “postmodernità”.

Il termine, di cui spiegheremo più dettagliatamente il significato, va sin d’ora chiarito nelle sue linee generali: è un termine che vuol intendere una diversità e una lontananza relativa, ma inconfutabile, della condizione culturale attuale rispetto alle caratteristiche di quella che era stata la cultura “moderna”, quella cultura che, nata con il rinascimento quattro e cinquecentesco, rafforzata dal passaggio attraverso il “contestativo” pensiero illuminista del Settecento, giunge alla rivoluzione industriale dell’Ottocento per approdare, infine, al razionalismo critico, alla scienza e alla tecnologia del Novecento.

 

Il ca­rattere della nostra cultura "occidentale" – precisazione politico-geografica necessaria,  dal momento che stiamo parlando di una sola parte del mondo - sa­rebbe determinato, secondo  Fredric Jameson,  dalla sparizione di tutti modelli di profondità che avevano dominato l’epoca moderna (Jameson è stato uno degli analizzatori più acuti del postmoderno; Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, 1984).

 

Premettiamo subito un’osservazione: il carattere “negativo” più evidente della postmodernità consisterebbe, dunque, nella mancanza di “critica” razionale degli eventi (di qualsiasi natura essi possano essere), non più contrapposti tra loro e selezionati in funzione di un forte senso della misura e dell’etica, ma confusi e intrecciati tra loro: una cultura di citazione, priva di stile e di razionalità autonoma, dominata dall’effetto di decorazione e di superficie (Omar Calabrese).

 

 

Il barocco

A causa di queste specifiche caratteristiche alcuni studiosi hanno definito la nostra epoca, alla fine della modernità, come un’epoca assai simile a quella barocca, sviluppatasi nel Seicento, in cui si assiste  all’intreccio continuo tra reale e immaginario, tra verità e finzione, tra naturale e artificio.

Nella produzione delle sue mac­chine visionarie, il Barocco non sente l'esigenza di chiarire i debiti di carattere formale o contenutistico delle sue opere con il passato o con gli stessi contempo­ranei; esso macina tutto ciò che vede per produrre una super-visione senza confini e senza rispetto per l’originale, l’identità, la singolarità.

Il cinismo post-moderno è, in questo senso, molto vicino all'arroganza barocca. Il gioco crudele, a cui ricorre la pratica neo-barocca dell'arte o dell’architettura (si pensi alla “ricostruzione” di architetture famose nei parchi a tema, per esempio), è quello di rendere indistinguibile ciò che è vero da ciò che è falso.

La realtà e l’artificio, come si sa, vengono dalla cultura barocca resi contigui e interdipendenti: basta visitare, e l’esempio è d’obbligo, una chiesa barocca, per accorgersi di tutti gli innumerevoli giochi illusivi che ne caratterizzano la spazio, la decorazione e la stessa struttura: fregi dipinti che sembrano stucchi, stucchi che sembrano strutture edilizie, spazi che sembrano veri, architetture effimere, che sembrano eterne …, cupole che sembrano cieli.

   Da sinistra: Andrea Pozzo, Trionfo di sant’Ignazio di Loyola, 1691-94, chiesa di Sant’Ignazio, Roma; Baciccio (G. B. Gaulli), Trionfo del nome del Gesù, 1676-79, chiesa del Gesù, Roma.

 

Calabrese (L'età neobarocca, 1987) ricorda, in modo particolare, due opere che meglio di qual­siasi altre possono essere prese in considerazione come esempi preci­pui della tendenza fondamentale del neo-barocco, la citazione: il celebre romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa, e l’altrettanto famoso film di Steven Spielberg I predatori dell'arca perduta.

 

   

 

Un libro e un film che, a detta degli stessi autori, sono degli "ammassi di citazioni";  Eco dichiara, con acuta provocazione, di non esserci una parola di suo nell'intero romanzo, e Spielberg tiene a preci­sare il numero delle cita­zioni cinematografiche presenti nel suo film: circa 350!

 

Ovviamente, c'è citazione e citazione, e Calabrese, molto opportunamente, opera delle distinzioni ... di classe! Personalmente ritengo che la citazione sia un parametro straordinario per distinguere la "classe" dell'autore (citare, difficile è!), ma anche per comprendere la differenza tra tendenza manieristica e tendenza barocca, ambedue citazionistiche, con fondamentali differenze.

Nel Manierismo la citazione si inscrive all'interno di un'opera originale, nella quale si vuole consapevolmente fare omaggio, in una sua parte, ad un altro autore; nel Barocco, la citazione acquista un livello totalizzante e illusorio, nel quale risulta difficile distinguere i territori, i materiali, i riferimenti. Il Manierismo ri­flette la messa in crisi delle certezze, connesse con la visione classicistica del Rinasci­mento, il Barocco per­segue una ricerca di totale deflagrazione dei generi e dei confini, e, per fare ciò, non guarda troppo per il sottile.

 

Mario Perniola, che già si era occupato, tra gli altri argomenti di critica este­tica, di analisi del contemporaneo (La società dei simulacri, 1983), in un libro intitolato Enigmi. Il momento egizio nella società e nell'arte (1990) afferma che lo stato attuale della cultura è caratterizzato da una sorta di "effetto egizio", nel senso che, come era stato tipico della civiltà egizia, anche la nostra sembra possedere la tendenza ad annullare in un'unica dimen­sione temporale l'an­tico e il nuovo, ponendoli l'uno accanto all'altro e la­sciando aperta la con­traddizione che ne deriva.

 

L'esempio, che Perniola adduce per dimostrare la sua tesi, è proprio quello della tecno­logia televisiva, che ci permette di at­tualizzare, vale a dire di rendere presente, tutto ciò che appartiene a tempi diversi; la compresenza, nella comunicazione televisiva, di eventi passati con fatti presenti induce ad una perdita del senso delle distanze tempo­rali: il presente è diventato un passato che ritorna subito, e il passato un pre­sente po­tenziale che può essere reso attuale in qualsiasi momento. Anche i "tempi" sono sotto­posti al principio vigente dell'interscambiabi­lità dei valori, presente passato e futuro giocati come figure marginali sulla scena attuale.

Perniola insiste particolarmente sul carattere definitivamente permuta­torio della nostra epoca, per cui tradizionali ca­tegorie dialettiche, come alto/basso, maschile/femminile, lumi­noso/tenebroso, vita/morte, orga­nico/inorganico, sembrano essere av­viate ad un mostruoso intreccio com­binatorio.

 

Prima di affrontare la definizione e i caratteri del postmoderno, dobbiamo indugiare a capire al questione neo-barocca, che ne è un fondamento.

 

Dobbiamo risalire al grande pensatore tedesco Walter Benjamin, il quale, nella sua opera Il dramma barocco tedesco, del 1928, aveva già intuito il diffondersi di un sentimento mondano, un sentimento sociale e individuale privo di profondità e di tensione metafi­sica e implicato nella ricerca estetica di un forma­lismo soltanto esteriore.

Non a caso Benjamin vedeva il fenomeno culturale barocco come un’anticipazione del suo tempo, in quanto ambedue caratterizzati da una parallela e indo­mabile pulsione a  trasformare la realtà in invenzione e in spettacolo continuo.

Deformazione di funzioni, di materiali, di sostanze, di sentimenti.

Un'invenzione, quella barocca, di tale portata da scon­volgere non solo gli aspetti formali delle opere d'arte, ma l'in­tera conce­zione del vedere e del rappresentare.

L’aperto e il chiuso, l’esterno e l’interno, l’esteriorità e l’interiorità, il corpo e lo spirito, giungono a convivere miste­riosamente dentro una piega che ne dà forma continua!

 

Barocco, dunque, come unica rappresentazione coe­rente dello squilibrio, riflesso struttu­rale di un desiderio che non può rag­giungere il suo oggetto: desiderio per cui il logos non ha collocato altro che uno schermo, che nasconde la sua carenza. Come sostiene Perniola, il neo-barocco contemporaneo è la messa in forma del dinamismo stesso di questo disequilibrio tra interiorità ed este­riorità, con una netta predomi­nanza dell'effetto este­riore su quello interiore, l'arte tra­sformatasi in quello che può essere definito come un solenne dispositivo, una mac­china di produzione spettacolare di tipo organizzativo.

 

Di fondamentale importanza per la comprensione del fenomeno neo-ba­rocco sono alcuni lavori di Baudrillard, in modo particolare quelli dedi­cati allo studio dei simula­cri e dei cosiddetti "scambi simbolici". Nel saggio di post­fazione a Simulacri e impo­stura (1977 -1980) e intitolato Noialtri barocchi e Baudrillard, del 1979, Furio Di Paola sottoli­nea l'importanza estrema di questo maitre à penser francese nell'analisi, di derivazione benjaminiana, delle connessioni tra tecnica e simulacro,  e soprattutto nell'elaborazione delle riflessioni sul barocco come dimensione e cate­goria fondamentale della simula­zione, vero e proprio "universo cool", in cui l'unica apparenza di calore è inganne­volmente offerta dalle pratiche persuasive della seduzione. Proprio questa riabilitazione delle strategie seduttive caratterizzerebbe quello che Guy Scarpitta, in L'artificio, del 1988, decisamente chiama il ritorno del barocco.

 

 

La piega

Tale ritorno al barocco sarebbe documentato dalle seguenti ricorrenze: l'arte della massima etero­geneità; la proliferazione dell'ornamento; la "mostruosità" formale; l'imporsi di un'arte della carne; l'arte della seduzione; il movi­mento febbrile, insieme angoscioso ed estatico; la trasversalità di una retorica generalizzata; l'iper-teatralizzazione.

Scarpitta parla di ondate di stucco, generate da un'esplosione, che ha lasciato un centro vuoto.

De­leuze, nel suo libro sulla Piega, anch'esso dell'88, osserva: Il barocco inventa l'opera o l'operazione infinite. Il problema non è come finire una piega, ma come continuarla, farle attraversare il soffitto, por­tarla all'infinito. (...) La piega infinita se­para o passa fra la materia e l'anima, la facciata e la stanza chiusa, l'e­sterno e l'interno. La linea d'inflessione è una virtualità che non smette di differenziarsi (p. 53).

 

La piega infinita separa o passa fra la materia e l'anima, la facciata e la stanza chiusa, l'esterno e l'interno. La li­nea d'inflessione è una virtua­lità che non smette di differenziarsi: si attua­lizza nell'anima, ma si rea­lizza nella materia: da ciò la doppia figura del contrasto, che è solo apparente, tra luce e ombra, tra bene e male. Da ciò il fascino del contra­rio. L'estasi delle sante berniniane, Teresa (1647-52) o Ludovica Albertoni (1671-74), rappresenta il punto segreto e misterioso della piega che fa reclinare sullo stesso corpo e nello stesso momento gli estremi del piacere e della morte. Della morte per piacere e del piacere della morte.

 

 

Il postmoderno potrebbe essere, dunque, simbolicamente rappresentato dalla figura della piega, perché in essa prende forma la contiguità tra materia e vuoto, tra luce e ombra, tra peccato e redenzione, tra cinismo e commozione, tra verità e ipocrisia, tra realtà e artificio, che sono tutti fenomeni assimilati dalle regole dello spettacolo, con cui il sociale, il politico e lo stesso religioso vengono parimenti governati.

 

La defini­zione deleuziana dell'arte contempo­ranea è “ripiegamento portato all'infinito”: il fatto è che la piega non simula soltanto tutte le materie, che diventano anche materie di espres­sione, se­guendo scale, velocità e vettori differenti (le montagne e le ac­que, le carte e le stoffe, i tessuti viventi, il cervello), ma determina e fa apparire la forma, ne fa una forma d'espressione, Gestaltung, l'elemento genetico o la linea infi­nita d'inflessione, la curva a variabile unica.

 

Severo Sar­duy, nel suo lavoro sul "barroco", (Barroco,1975), pone con molta decisione la questione dell'attualità del barocco, la cui funzione consisterebbe nel dilapidare il linguaggio in funzione unica­mente del piacere, e non, come vuole l'uso domestico, in funzione del­l'informazione.

 

Ad Omar Cala­brese, e particolarmente al suo libro L'età neobarocca, che risale al 1987, e dunque precedente di un anno all'uscita dei contri­buti di Deleuze e degli altri autori già indicati, va il merito di avere af­frontato molto acutamente la questione del neo-barocco contemporaneo e di averne lanciato definitivamente la definizione attuale; Mille di questi anni (1991) e soprattutto Caos e bellezza. Immagini del neobarocco (1991)  approfondiranno ulteriormente la tematica.

 

 

 

Postmoderno

Come dice la parola, il termine “post-modernità” o “postmoderno” fa riferimento alla modernità, indicando il suo superamento: un superamento, ovviamente, non solo di carattere temporale, ma soprattutto di tipo culturale.

Il concetto di “posteriore” lo ritroviamo in un contesto particolare di denominazioni storico-politiche, come, per esempio, in “post-industriale”, “post-marxismo”, “post-comunismo”.

Nel termine “postmoderno”, il concetto di posteriorità possiede un significato fondamentalmente contrappositivo: il moderno è sentito come definitivamente superato. Prima di proseguire è opportuno subito chiarire che non tutti gli studiosi, che  pur accettano questa definizione, concepiscono il postmoderno come un fenomeno culturale con caratteristiche completamente opposte a quelle possedute dalla  modernità, ritenendo che esso ne sia, per così dire, una sorta di derivazione evolutiva, e, quindi, continuando a possederne dei caratteri tipici.

 

Se un eccesso di senso dominava il mondo della modernità, e la crisi del linguaggio consisteva nell’estrema difficoltà di dire fino in fondo la profondità del “senso del mondo”, la post-modernità è caratterizzata dalla constatazione che il mondo ha perso definitivamente ogni suo senso e che la realtà residuale appartiene solo a quel sistema di linguaggio che ne parla.

È proprio nell’epoca delle avanguardie storiche, con la disintegrazione linguistica e formale dell’arte, la fine della rappresentazione e l’inizio del “montaggio” casuale dei frammenti residuali di senso, che ha avuto luogo la perdita tragicamente definitiva di quelle sicurezze, che avevano costituito il carattere forte della razionalità occidentale: anzi, possiamo dire che razionalità occidentale e modernità, cessano di agire all’unisono.

 

Lo sradicamento dal luogo, vale a dire il fatto di non sentirsi più appartenenti ad un territorio culturalmente e fisicamente definito, si intreccia alla detemporalizzazione dell’esistenza quotidiana: come non ci si può più riconoscere nella sofferta geografia dei nostri padri, così non si riesce più a vivere l’esperienza del tempo come “presente”. Il presente è una sorta di tempo compresso tra passato e futuro, tra ciò che sopravvive dell’epoca dominata dalla mano e ciò che cade sotto il dominio della tecnica.

 

 

Il critico d’arte Ger­mano Celant, ha sostenuto la tesi di una totale "inespressività" della nostra epoca: Il con­temporaneo è una presenza sfuggente in via d'estinzione. Le sue manifestazioni si svolgono sotto i nostri occhi, senza che lo sguardo riesca a controllarle e a definirle o la parola sia capace di descriverle in tempo, allo stesso tempo. Il suo scorrere ri­mane tutto da scoprire, resta indefinito e informulato, esiste e si impone, ma non si lascia incanalare. É difficile confinarlo in un paesaggio unico, rinchiuderlo in un perimetro dove stabilire cosa passa e come succede. S’irradia continuamente, liberandosi delle cose presenti. É un'energia a perdere, senza limiti: tutto è identicamente contempora­neo, ma la defini­zione lo smarrisce, ne attua la perdita (Germano Celant, Inespressionismo. L'arte oltre il contemporaneo, Costa & Nolan, Genova 1988, p. 5).

 

Ma è il fondamentale lavoro di autori come Hassan o Hardley a fare un punto essenziale sulle caratteristiche del postmoderno.

Le maggiori differenze che lo distinguono dalla modernità, chiamata “modernismo” (assumendo il significato di un “ismo”, vale a dire di un movimento culturale), sono riassunte da Harvey (David Harvey, La crisi della modernità, 1993) in una serie di cambiamenti, di cui i principali sono qui di seguito  elencati:

 

 

Modernismo - Postmodernismo

 

romanticismo/simbolismo --- patafisica/dadaismo

forma (congiuntiva,chiusa) --- antiforma (disgiuntiva, aperta)

finalità --- gioco

progetto --- caso

gerarchia --- anarchia

controllo/logos --- finimento/silenzio

oggetto d’arte/opera finita --- processo/performance/happening

distanza --- partecipazione

creazione/totalizzazione/sintesi --- decreazione/decostruzione/antitesi

presenza --- assenza

concentrazione --- dispersione

genere/confine --- resto/intertesto

semantica ---  retorica

paradigma --- sintagma

ipotassi --- paratassi

metafora --- metonimia

selezione --- combinazione

radice/profondità --- rizoma/superficie

interpretazione/lettura --- controinterpretazione/fraintendimento

significato --- significante

leggibile --- scrivibile

narrazione/grande histoire --- anti-narrazione/petite histoire

codice principale --- idioletto

sintomo --- desiderio

tipo --- mutante

genitale/fallico --- polimorfo/androgino

paranoia --- schizofrenia

origine/causa --- differenza-differenza/traccia

Dio Padre --- Spirito Santo

Metafisica --- ironia

determinatezza --- indeterminatezza

trascendenza --- immanenza

 

A queste caratteristiche vanno aggiunte altre considerazioni. Il postmoderno vede scomparire le contrapposizioni dialettiche più significative del moderno. Tra queste la differenza semantica e concettuale tra in­terno ed esterno, tra visi­bile ed invisibile, tra dicibile e indicibile; tra essenza ed apparenza, tra vero e falso, tra realtà e simulazione; tra manifesto e rimosso; tra au­tentico e inautentico, tra originale e  imita­zione, tra unicità e copia, tra singolarità e serie; tra il significante e significato.

 

Se la paranoia dell’uomo moderno era determinata, come ci ricorda Harvey, nel suo fondamentale saggio, dalla continua frustrazione per il mancato raggiungimento di un futuro migliore, la schizofrenia dell’uomo postmoderno è causata dalla frammentazione del soggetto in una molteplicità di ruoli e di comportamenti, spesso inconciliabili tra loro.

 

Non più, dunque, blow-up, ingrandimento progressivo di un dettaglio, analisi intermi­nabile... come avrebbe detto Freud! Ma, cut-up, distruzione e ricompattazione dei frammenti: blob.

Miliardi di connessioni telematiche e televisive, come reti neuronali di un cervello esteso come tutto il pianeta.

 

Solo l’astuta cultura new age ha saputo combinare armonicamente questi tempi, fondendo la nostalgia del preindustriale e del primitivo con l’attrazione per i regni immateriali e simulativi della tecnologia. Ed è soprattutto la musica new age, attraverso l’adozione di discipline meditazionali, che non disdegnano tuttavia i più significativi simboli della cultura  yuppistica, dalla BMW ai vini francesi all’elettronica acustica, a rovesciare tutta la complessa e intrecciata esperienza musicale del jazz, della classica e del rock in una dimensione che non vuole possedere più nulla di sperimentale. Rilassante e rasserenante, la musica new age si fa metafora di un’intera direzione dell’estetica, dell’arte e della cultura, una direzione che vuole portare il soggetto ad una condizione di totale abbandono nelle mani delle merci e della loro rappresentazione pubblicitaria-ideologica.

 

Al contrario di ciò che era stato e continua ad essere l’assunto fondamentale dell’arte di tutte le avanguardie, la messa in discussione del mondo e, nello stesso tempo, del soggetto,  la “nuova epoca” produce opere e comportamenti consensuali e consolatori.

 

La schisi del soggetto postmoderno è dunque determinata dalla sua frammentazione, dalla sua infinita duplicazione, come immediatamente hanno percepito e tradotto in immagini inequivocabili gli artisti più “moderni” della postmodernità.

Tre esempi significativi possono essere rappresentati da Gary Hill, Christian Marclay, Cindy Sherman.

   

 

 

Gary Hill (Inasmuch As it is Always Already Taking Place, 1990, video installazione) colloca una ventina di monitors di varie forme e misure, ognuno riproducente una porzione di un corpo umano, all’interno di un loculo scavato nelle mura profonde del Martin Gropius Haus a Berlino in occasione della mostra intitolata Metropolis (International Art Exhibition Berlin 1991); Christian Marclay, nella dirompente mostra, curata da Jeffrey Deitch e intitolata Post Human (Lausanne, 1992; Torino-Rivoli 1992; Atene, 1993; Amburgo 1993), accosta tra loro una serie di copertine di dischi (Christian Marclay, Doorsiana, 1991), ognuna riproducente un particolare del corpo umano, tentandone una ricostruzione fittizia, in cui si armonizzano tra loro anche parti organiche di sessi diversi; Cindy Sherman (Cindy Sherman, Untitled, 1992), nella stessa mostra, presenta delle grandi opere fotografiche, nelle quali sono rappresentati dei manichini femminili, fatti a pezzi e rimontati in maniera oscena.

                             

Se prendiamo, tuttavia, in considerazione i fenomeni più recenti delle grandi mutazioni prodotte dalla tecnica nei vari campi, da quello dell’informazione, a quello della produzione simulativa, dall’ingegneria genetica alla clonazione, dalla cybernizzazione del mondo alla sua globalizzazione capitalistica, dobbiamo ammettere che lo stesso termine di postmoderno risulta già inefficace.