Roman Opałka, OPALKA 1965/1—∞, part. coll. David Sahubotham, foto elf
Questa installazione esposta nel 2007 nell'ambito della mostra Artempo dedicata al rapporto tra arte e tempo presso palazzo Fortuny a Venezia, prevede l'accostamento di una anonima scultura del Buddha e delle opere di Roman Opałka, il quale dipinge sulle sue tele solamente una serie di numeri progressivi, composta da una successione di cifre in cui l'ultima corrisponde alla precedente aumentata di una unità (1, 12, 123, …). Le sue opere odierne contano migliaia di cifre le quali appaiono sempre più invisibili confondendosi il pigmento sempre più bianco con il fondo bianco della tela e allontanandosi sempre più, opera dopo opera, dal colore nero della prima opera risalente al 1965.
Inoltre l'artista, ogniqualvolta espone una nuova opera, realizza degli autoritratti che rispettano anch'essi la medesima norma dei quadri, andando dunque via via sdefinendosi nel colore di fondo.
La relazione tra il Buddha e l'invisibilità numerica di Opalka è comprensibile riconoscendo che "numeros" significa "anima": il filo conduttore dell'impermanenza dà senso all'installazione.
La considerazione del lavoro di Opalka ci permette poi di chiudere la lezione sugli impressionisti, l'artista infatti attraverso questa cifratura del progressivamente invisibile sottrae colore a ogni opera per tentare di giungere alla pura luce non più disturbata dal pigmento che aveva causato la tragedia degli impressionisti i quali tentarono senza chiaramente riuscirci di tradurre la luce mediante il suo antagonista, la materia, il colore. Il grande progetto di questo artista coincide allora con un'unica opera che dal 1965 a oggi implica la numerazione estrema della luce che vince sulla tragedia del colore.