Jackson Pollock al lavoro nel suo studio, foto di Hans Namuth, 1950, Hans Namuth Estate, The University of Arizona
L'insegnamento di Pollock (l'artista a cui si deve il costituirsi della cosiddetta "pittura d'azione"; si veda il film di Namuth) è che è quasi più importante il "fare arte" che il risultato finale, egli sposta la tela dal cavalletto e la pone a terra sulla quale impiega una tecnica antichissima praticata in alcune tribù indiane, lasciando cadere schizzi e gocce di colore, inventando così il dripping. Ecco che allora si apre una questione vertiginosa sul ruolo del caso, sul bordo tra caso e scelta: è davvero il caso, nell'operazione individuata da Pollock, ad essere artefice dell'opera o è solo uno strumento coadiuvante? Nella sua pittura d'azione Pollock si sposta attorno al "quadro", come se fosse privo di una posizione convenzionale alto-basso. Sradica i punti cardinali dell'arte, in un'azione la quale segue i ritmi del corpo dell'artista ed è ultimata nel momento vertiginoso in cui egli stesso si ferma: un tocco in più la rovinerebbe, una sola goccia in più la distruggerebbe.