L'originale comunica oggi, visivamente, un suo grande imbarazzo!
L'originale è un residuato moderno in piena postmodernità, un'epoca caratterizzata, dall'impossibilità di trovare, produrre originali ed essere noi stessi originali!
La nostra epoca è l'epoca del collage, oserei dire dell'age de la colle, dell'età della colla, nel senso che tutto sembra incollato casualmente insieme, dando luogo a figure (non sempre soltanto concettuali) mostruosamente ibride, polimorfiche, sfuggenti, doppie...
Quali devono essere le caratteristiche visive dell'originale, tali per cui si possa affermare con certezza che esso è davvero esemplare unico, irripetibile, auratico? Questi erano, di fatto, i requisiti di base per poter definire l'originale, secondo l'ultimo grande pensiero della modernità, quello di Walter Benjamin, che s'è occupato di definirne la morte!
Il concetto di originale era entrato in crisi, esattamente come descritto da Benjamin, nel momento in cui la riproduzione tecnica dell'opera d'arte aveva fatto perdere ad essa la sua più peculiare caratteristica, che era sembrato essere quella, quasi divina, della sua irriproducibilità.
È, dunque, proprio nel momento più alto del pensiero moderno, che prende inizio il processo di dissoluzione dell'originale. Un processo inarrestabile che porta con sé, o che vede scorrere accanto a sé, anche il progressivo vanificarsi dell'arte stessa (Baudrillard parlerà di vanishing point
dell'arte).
Naturalmente, non è solo il concetto di originale, che entra in discussione nel passaggio dalla cultura moderna a quella postmoderna.
Originale/copia. Questa coppia in storica opposizione dialettica, fa, infatti, parte di un gruppo più sostanzioso di relazioni, che, con la postmodernità, si sono ibridate, dando origine a nuovi fenomeni formali e strutturali.
Il concetto di originale, dunque, andrebbe riesaminato non tanto come categoria distinta e distintiva rispetto a quella di copia, ma accanto ad altre sfortunate categorie sopravissute nel lungo corso dell'epoca moderna: centrale rispetto a periferico, autentico rispetto ad inautentico, reale rispetto a virtuale, vero rispetto a simulato, unico rispetto a serializzato...
Si viene così a determinare una sorta di destino comune a tutto un insieme di categorie (copia, periferico, inautentico, virtuale, simulato, serializzato...), che vengono a costituire una famiglia concettuale molto coerente, che si contrappone – solidalmente – a quella che attornia "gli altri concetti", che erano stati essenziali per il pensiero moderno: centrale, autentico, reale, vero, unico.
Il carattere attuale della nostra cultura "occidentale", obbligatoria precisazione troppo spessa omessa, è determinato soprattutto dalla sparizione dei principali modelli di profondità che avevano caratterizzato il periodo della modernità.
Tra questi, il modello ermeneutico di differenziazione tra interno ed esterno, tra visibile ed invisibile, tra dicibile e indicibile; il modello dialettico di contrapposizione tra essenza ed apparenza, tra vero e falso, tra realtà e simulazione; il modello freudiano di evidenziazione di ciò che è latente rispetto a ciò che è manifesto, di ciò che è palese di fronte a ciò che è rimosso; il modello esistenzialista, che tendeva ad individuare l'autenticità rispetto all'inautenticità, l'originalità rispetto all'imitazione, l'unicità rispetto alla copia, la singolarità rispetto alla serie; lo stesso modello semiotico, che opponeva significante a significato.
Se parliamo ancora di orginale e forse anche di origine, è perché ne abbiamo ancora una profonda nostalgia, per quanto incongrua rispetto al nostro tempo.
Rispetto alla realtà che passa, l'immagine resta e l'originale svanisce per sempre. Estetica della sparizione, come viene chiamata da Paul Virilio.
L'avventura postmoderna è tutta risolta nel mondo dell'immagine, portando a compimento le prime preoccupazioni heideggeriane vedi immagine). É vero, ma è giunto anche il momento di affermare un chiarificante paradosso: l'immagine è, rispetto all'originale, una dimostrazione di produzione di una nuova originalità! L'attività prosegue...
Viviamo in una cultura che è soprattutto una cultura riproduttiva, e la riproduzione è, in fondo, la testimonianza non della fine della creatività, ma dell'attuarsi di un altro tipo di espressività.
La proliferazione dei segni è una sorta di cancro, che molti ritengono se non necessario, quanto meno inarrestabile, e comunque pericolosamente mortale. La tesi benjaminiana della riproduzione tecnica dell'opera d'arte è in parte largamente superata, almeno nel senso - come sostiene anche Scarpitta, nel suo lavoro sull'Artificiale - che assistiamo oggi alla coesistenza e alla "interpenetrazione" delle pratiche artistiche producenti "unicità" - e dunque ancora dotate di auraticità benjaminiana - con quelle riproduttive.
Anzi, come abbiamo sostenuto in più occasioni, è proprio questa tecnica ad aver mutato la concezione estetica stessa dell'arte: tanto più originale l'opera d'arte, quanto più essa si presenta come rappresentazione della rappresentazione, come immagine dell'immagine!
Il viaggio "critico", che fino a poco tempo fa si compiva, iconologicamente, all'interno dell'immagine per ricercarne l'origine e il senso (vale a dire il loro riferimento al reale, all'immaginario e al simbolico), si compie ora quasi eslcusivamente al suo esterno, nei collegamenti sincronici che l'immagine possiede – pressoché unicamente - con il sistema generale delle immagini.
Abbiamo sostenuto, in più parti delle nostre riflessioni ed analisi, che le immagini non rimandano più al mondo, bensì ad altre immagini. Ciò significa, forse, che le immagini non possono essere più considerate come simboli, dal momento che esse non rimandano che ad altre immagini, il reale essendosi allontanato in maniera incommensurabile.
Pertanto, la comunicazione visiva di un'immagine rimanda solo al comunicante (al significante) di un'altra immagine ancora!
Last but non least: quale originalità nella dimensione digitale? Cosa s'intende per originale nel mondo digitale, se non il programma "non copiato"? Qual è l'originale di un'opera elettronica? Qui s'apre, sul finire, una questione non da poco, perché se non c'è l'originale, perché c'è allora ancora il copyright?
Davvero, quest'epoca elettronica è ancora preistorica...
In conclusione. Se l'immagine attuale, fondamentalmente digitale, e quindi infinitamente permutabile, indifferente alla realtà e alla verità, è un fenomeno "simulativo", è anche "simultanea" la sua apparizione accanto all'oggetto di cui essa si fa comunicante (medium!). L'immagine digitale, grazie alla sua simultaneità e alla sua simulatività, si presenta al posto del reale (è la tesi sostenuta da tutto il Situazionismo e da Marshall McLuhan – vedi media), anzi, possiamo dire che lo precede a tutti gli effetti!
Nessuna più distanza, dunque, tra immagine e realtà, e quindi, anche nessuna possibilità di distinguere tra essi il vero originale!
Il clone è, se è tale, indistinguibile dalla sua origine. Perfetto simulacro. Il termine ne spiega il senso: simulacro ha origine, pardon radice, in sim¸ un indoeuropeo che dice l'uno, non la copia!