Media
da Fedro, Platone

da Fedro, Platone

Come abbiamo più volte detto, il medium è qualsiasi mezzo attraverso cui passa ogni tipo di comunicazione, anche se per medium si deve intendere, più specificatamente, uno strumento tecnico sul quale vengono depositati dei segni e sul quale, poi, è possibile leggerli o ascoltarli o vederli o addirittura interagire con essi.
Per capire meglio la vastità la complessità e l’evoluzione dei media, ripubblichiamo, poco più avanti, il grafico del rapporto tra i vari tipi di media e il loro utilizzo per quanto riguarda vivacità e interattività.

Diciamo subito che, siccome tutti i rapporti umani sono mediati dalla comunicazione, essa è a tutti gli effetti il medium più immediato e certamente più sofisticato.

Una studentessa, Elisa Pasqual, in un contributo inviato per e-mail, si chiede: abbiamo affrontato la questione mcluhiana "il medium è il messaggio", indipendentemante da quanto vi è contenuto. Si può pensare che anche i nostri corpi siano dei media?

Vorrei risponderle con questa osservazione un po’ azzardata: ebbene, finché i nostri corpi son "nostri", e non definitivamente "artificiali", faremo resistenza alla sparizione della nostra soggettività inalienabile e incontrollabile. Il soggetto, non deve mai accettare di venire mercificato (vedi gene e corpo) e usato come veicolatore di idee, di volontà e di scelte altrui, qualunque forma possa prendere un tale diabolico potere.
Forse non ci rendiamo conto che già allo stato attuale noi siamo effettivamente dei mediatori e portatori di informazioni pubblicitarie e ideologiche con il "semplice" fatto di indossare e di utilizzare delle merci: siamo dei comunicatori visivi!
Per contrastare questo fatale fenomeno dovremmo, tuttavia, tornare ad una primigenia nudità: purtroppo, come ho cercato di dimostrarvi, l’uomo è nato vestito; ogni nostro capo d’uso o d’abbellimento fa di noi degli uomini sandwich, portatori non pagati di marchi di fabbrica. Ci facciamo mediatori di merci. Ma l’uomo è nato vestito per una ragione molto precisa: in quanto "uomo tecnico", che usa, da sempre, il linguaggio verbale e quello del corpo, posizionamento, andatura e gesti, per trasmettere informazioni e comunicazioni.

La parola "medium" è, per altro, riferita a colui o a colei che, in una situazione di presunta trance, si suppone agisca come inter-mediario tra gli spiriti e i partecipanti ad una seduta spiritica. Questo fenomeno, del tutto mistificante e pur tuttavia così popolare, ha qualche attinenza con la nostra questione filosofica, in quanto il medium, personificato da uno pseudo mago, e il medium inteso come strumento di informazione posseggono un’analoga capacità persuasiva presso le persone meno dotate di cultura critica. Con una differenza sostanziale, tuttavia – e che è giusto proprio qui sottolineare -: mentre tutti i medium si mettono in comunicazione… con l’al di là, i media tecnologici, quando nelle mani di professionisti seri, possono informarci di veri segreti dell’al di qua!

Detto ciò, riflettiamo su media più… consistenti.

Con il termine medium, al plurale media (il mezzo, i mezzi, in latino), si intendono classificare tutti gli specifici strumenti tecnici del comunicare … in evoluzione: il libro, la radio, il telefono, il cinema, la televisione, il Web…

Ripropongo lo schema che ritroviamo anche alla voce comunicare, in quanto esso ci aiuta a comprendere, con efficace evidenza, oltre che l’evoluzione dei media in generale, anche la loro progressiva interattività con l’utilizzatore.

tabella evoluzione media

Mediamente, la nota trasmissione televisiva curata da Carlo Massarini, ha dedicato una serie di puntate molto specifiche al tema dei media. "Mediamente" è uno splendido gioco di parole, mette in contatto le tecnologie dei media con l’intelligenza umana. Nello stesso tempo, fa intuire (media+mente) che, ormai, computer, come forma estrema dell’intelligenza artificiale, e mente, come forma biologica dell’intelligenza, si stanno fondendo insieme.
Ma "mediamente" significa anche una misura: una misura come valore statistico oppure misura come equilibrio tra le forze (logica sfumata …)?

Carlo Massarini

Carlo Massarini

Lo studioso canadese Marshall Marshal (morto nel 1981) aveva, già negli anni cinquanta, elaborato una teoria affascinante e molto provocatoria sui media, considerandoli come "mass media", vale a dire mezzi di comunicazione di massa.

Qualsiasi sia la ragione di una ricerca sui media, non possiamo mai prescindere dalla conoscenza dei saggi fondamentali di McLuhan, come The Mechanical Pride – Folklore of Industrial Man (1951), tr it La sposa meccanica. Il folclore dell’uomo industriale, prefazione di Roberto Faenza, Sugarco, 1984; Understanding media. The extensions of man, 1964, tr. it. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967, Marshall McLuhan The man and his Message 1989, tr it L’uomo e il suo messaggio, con un’introduzione di John Cage, è una raccolta di scritti importanti di McLuhan e di altri autori.

Marshall McLuhan, Quentin Fiore, Il Medium è il Massaggio. Un inventario di effetti, 1967

Marshall McLuhan, Quentin Fiore, Il Medium è il Massaggio. Un inventario di effetti, 1967

Marshall McLuhan, Quentin Fiore, Il Medium è il Massaggio. Un inventario di effetti, 1967
Marshall McLuhan, Quentin Fiore, Il Medium è il Massaggio. Un inventario di effetti, 1967
Marshall McLuhan, Quentin Fiore, Il Medium è il Massaggio. Un inventario di effetti, 1967

Per McLuhan tecnologia e medium sono strettamente interdipendenti, fino al punto d’ipotizzare che la tecnica stessa sia un medium; se la comunicazione è il motore della civiltà, essendo il modo con cui tutti gli uomini entrano in relazione reciproca, il tessuto della civiltà stessa è dunque determinato e costituito dall’insieme dei media.

Cercherò di estrapolare i punti nodali del pensiero macluhiano, desunti dai suoi testi fondamentali. Essi possono essere così sintetizzati:

È molto significativo rilevare come, sin dagli anni cinquanta del secolo scorso, agli albori della televisione, molti studiosi fossero già perfettamente consapevoli delle conseguenze persuasive che i mezzi di comunicazione potevano avere sulle masse (i dittatori, Mussolini e Hitler in modo particolare, ne avevano già fatto un uso cosciente e molto abile): persuasioni di massa, indotte non solo mediante la propagazione di affermazioni giornalisticamente orientate nei notiziari e nelle cronache, ma anche, e forse con maggiore efficacia, attraverso la diffusione di eventi ricreativi, leggi spettacoli.

Tali spettacoli appaiono come delle cerimonie "ricreative", ma, in effetti, costituiscono delle vere e proprie azioni di consenso di qualsivoglia potere, sulla base di un’induzione ideologica. Tra questi spettacoli, vanno inclusi quelli sportivi - che inducono stimoli competivi, volontà di conquista, esaltazione della forza, sentimento d’appartenenza ad una massa di tifosi - e quelli di intrattenimento, che, proprio per la loro apparente neutralità politica, propongono modelli molto determinanti di comportamento sociale basati sul costume, sulle abitudini e sulle convenzioni/convinzioni dei grandi numeri di spettatori, ascoltatori, frequentatori diretti o indiretti dello spettacolo. Qui la "comunicazione visiva" si fa scienza.

La responsabilità dei media nella propagazione di informazioni tendenziose e mirate, appena appena attenuata dalla crescita sempre più intelligente della media (!) degli utenti, ha fatto prendere una posizione polemica molto determinata ad uno dei più grandi scienziati ed epistemologi contemporanei, Karl R. Popper, il quale, poco prima di morire, ci ha lasciato un breve, ma intenso, saggio, intitolato Cattiva maestra televisione (1994). In esso lo studioso sostiene che la televisione, il medium per eccellenza, è talmente pericolosa che, per produrne i programmi, e fors’anche per guardarli, occorrerebbe possedere una patente, del tutto simile a quella che abilita alla guida di un veicolo.

Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi (p 25).

Per quanto riguarda l’evoluzione dei media, un libro scritto nel lontanissimo 1987 (ma ancora fondamentale) da Stewart Brand, Media Lab. Il futuro della comunicazione, ci informa sugli studi, le ricerche e i grandi progetti del prestigioso centro di ricerca sui media del MIT.

Wiesner Building, sede del Media Lab, progettato da I. M. Pei,in collaborazione con Kenneth Noland e altri artisti

Wiesner Building, sede del Media Lab, progettato da I. M. Pei,in collaborazione con Kenneth Noland e altri artisti

Per farci un’idea di ciò che ci aspetta, a proposito dei "mezzi di comunicazione di massa", Brand, sintetizzando un pensiero di Nicholas Negroponte, il prestigioso direttore del Media Lab (http://www.media.mit.edu/), nonché autore di una serie di saggi scientifici e di divulgazione di "filosofia della tecnica digitale", tra cui Essere digitali, afferma che il mondo sta per affrontare una rivoluzione senza precedenti, per quanto riguarda la comunicazione: quello che ora è soltanto un monologo diventerà, grazie alla miniaturizzazione dell’hard e l’aumento di capacità dei soft, una forma di conversazione continua interpersonale tra tutti gli individui del pianeta, cosicché i mezzi di comunicazione di massa finiranno per scomparire!

Dal punto di vista "filosofico", per controllare se le tesi proposte da McLuhan possono ancora essere valide, dovremmo ricorrere, per l’appunto, a Negroponte: chi più di lui, responsabile della maggior parte delle ricerche che stanno cambiando il mondo della comunicazione, può rispondere?

Nel mondo digitale il mezzo non è più il messaggio. È giusto una sua materializzazione. Partendo dagli stessi dati si possono infatti avere automaticamente diverse materializzazioni di un messaggio. Gli stessi bit potranno essere visti dallo spettatore secondo prospettive diverse. (…) Il concetto di multimedialità include necessariamente idee, come passare facilmente da un mezzo ad un altro, dire la stessa cosa in modi diversi, fare ricorso, secondo i casi, all’uno o all’altro dei nostri sensi, op. cit., pp 69-70.

I media, secondo uno dei progetti del Media Lab, potranno essere indossati: velluti che fanno i calcoli, mussole dotate di memoria, sete a energia solare, il telefono come centro mobile di comando e controllo, bracciali con computer, televisore e telefono incorporati … Per quanto riguarda le antenne, lo stesso corpo umano può costituire una parte di esse. Con un po’ d’aiuto digitale …, anche le nostre orecchie potrebbero funzionare come antenne, op. cit., pp 219-220.

Stelarc (vedi cyborg), l’artista che rappresenta, secondo me, la più interessante incarnazione chimerica di questa mutazione cibernetica, ha in progetto di trasformare il suo orecchio in un stazione ricevente!
http://v2.stelarc.org/

Per comprendere l’entità e l’importanza dell’utilizzo di vari media nel sistema attuale dell’arte, sarebbe necessario aprire un’analisi storica, dal momento che si dovrà decidere da quando vogliamo partire per il nostro viaggio di ricognizione e a quali media ci si vuole riferire: fotografia, cinema, televisione, computer …

Numerose rassegne ed esposizioni nel mondo si occupano di media, sia dal punto di vista tecnologico, sia da quello artistico-estetico e scientifico.
Tra queste, Ars electronica.
Ars electronica è il titolo di una rassegna internazionale, che presenta le più importanti ricerche elettroniche effettuate annualmente nel campo artistico e scientifico. Si tratta di un evento culturale, di grande importanza, che si tiene a Linz, in Austria, ma non è certamente l’unico che, in Europa e nel resto del mondo, si occupa degli aspetti più significativi della collaborazione tra le arti e le tecno-scienze.
Tutte le opere esposte sono realizzate utilizzando media sempre più sofisticati, ed è perciò sufficiente scorrere le presenze artistiche e scientifiche, che si succedono anno dopo anno, per seguirne l’evoluzione.
Basta scorrere i titoli delle ultime rassegne, iniziate nel 1979 per comprendere l’entità delle questioni, anche culturali e filosofiche, che vengono sollevate dalle opere esposte, dagli eventi e dai convegni: Arte genetica, 1993; L’ambiente intelligente, 1994; Mito-informazione, 1995; Il futuro dell’evoluzione, 1996; L’uomo, macchina informatica, 1997; L’informazione produce guerra, 1998; VitaScienza, 1999, Il prossimo sesso, 2000.
Il tema di quest’anno sarà il seguente: Unplugged. Art as the Scene of Global Conflicts, www.aec.at/unplugged

Unplugged. Art as the Scene of Global Conflicts

Unplugged. Art as the Scene of Global Conflicts

In ognuna di queste numerose esposizioni sono presenti non solo opere bidimensionali d’arte visiva, prodotte al computer, ma soprattutto installazioni e performances di vario tipo, sempre caratterizzate da una forte componente elettronica.

Non possiamo dimenticare, inoltre, che la più grande rassegna d’arte contemporanea in Europa, "Documenta", che si apre ogni quattro anni a Kassel, aveva dedicato la sua sesta edizione, nel 1977, ai media. "Media Documenta" fu un evento eccezionale per la storia della video-arte e dell’arte. Joseph Beuys, Douglas Davis e Charlotte Moorman, con la collaborazione di Nam Jun Paik, tentarono di intrecciare e montare insieme le loro performance in tempo reale mediante il primo collegamento satellitare della storia dell’arte.

L’Arte Elettronica non è uno stile o una poetica particolare, ma una definizione di comodo, sotto cui si comprendono innumerevoli modalità e livelli di creazione artistica. La forma più semplice è la realizzazione di immagini visibili in un monitor e stampabili con procedimenti ogni giorno più raffinati.
Il fruitore non è più passivo, ma diventa egli stesso una specie di autore. Con la tecnologia introdotta dal computer, il concetto d’originalità dell’opera è, infatti, definitivamente superato.

La rivoluzione prodotta da questa tecnologia non è solo tecnica, ma anche e soprattutto culturale e filosofica, in quanto, per la prima volta, assistiamo al superamento delle differenze tra la cultura umanistica e quella scientifica: infatti l’artista che oggi realizza le sue opere con il computer non fa solo dell’arte, ma anche della sperimentazione tecnologica e scientifica.

Altra peculiarità dell’arte elettronica è la possibilità di coinvolgere il fruitore e lo spettatore all’interno di opere con caratteristiche ambientali, permettendogli non solo di modificarne gli elementi, ma anche di diventarne parte integrante e inseparabile.
Con la produzione delle immagini di sintesi, il computer è diventato un protagonista essenziale di gran parte delle creazioni artistiche attuali, il cui punto estremo d’innovazione e di sperimentazione non è tanto la realizzazione di uno spazio fisico, multimediale e interattivo, quanto la creazione di una dimensione immateriale, una realtà parallela a quella fisica.

Con la definizione di Video arte si designano tutte le possibili utilizzazioni artistiche del video: dalla produzione di video tapes (tape significa nastro di registrazione), alla video scultura, alle video installazioni, alle video performances.

La Video arte si differenzia dalla televisione per un insieme di fattori, il primo dei quali è che se la televisione è un medium (vale a dire un mezzo, come la radio o i giornali) la Video arte è uno stile o, per essere più precisi, un modo di fare arte.
Se il medium televisivo è finalizzato ad elargire un servizio pubblico d’informazione (giornalistica, culturale e pubblicitaria) e d’intrattenimento, la Video arte si presenta direttamente, invece, sotto forma di opera d’arte, negli spazi espositivi di musei e di gallerie.
Se il linguaggio comunicativo del primo è quello dell’uso comune, popolare, quotidiano e collettivo, il linguaggio della seconda è - come ogni linguaggio artistico – elitario, complesso e di tipo simbolico: va interpretato e decodificato, cercando di coglierne, non diversamente che se ci trovassimo di fronte ad un quadro, una scultura o un’architettura, il significato intrinseco e l’intenzione dell’artista.

Una delle produzioni più significative della Video arte è quella dei video clips, brevi programmi comunicativi, che trasformano un prodotto sonoro e musicale in uno spettacolo audiovisivo. La loro struttura ritmica e compositiva è simile a quella che sta alla base di molti shorts (brevi presentazioni pubblicitarie, spesso firmate, come i clips, da grandi registi), di molti promo (presentazioni promozionali di un film) e di molte sigle di presentazione.

I clips più riusciti - alcuni dei quali vengono annoverati tra le più importanti manifestazioni dell’arte contemporanea - vengono trasmessi soprattutto nel più famoso programma d’intrattenimento per giovani, la MTV (Music TeleVision), un’emittente americana, che trasmette su tutto il pianeta (da Londra per l’Europa e da Milano per l’Italia), ventiquattr’ore su ventiquattro.
Potremmo considerare le immagine video-artistiche come l’ultima delle forme espressive usate dall’uomo, in continua evoluzione dalla preistoria ad oggi.

Per video-scultura s’intende una struttura tridimensionale, che comprende uno o più televisori, generalmente accesi, che ha, quindi, un particolare impatto simbolico sia per quanto riguarda le immagini che sono trasmesse, sia per quanto riguarda la forma stessa dell’installazione.
La video scultura è caratterizzata da una stretta relazione tra ciò che vediamo trasmesso nel televisore e la forma dell’elemento contenitore in cui esso viene inserito.

A differenza della video scultura, la video installazione interattiva possiede una maggiore relazione con l’ambiente e con lo spettatore, che viene sollecitato a muoversi come all’interno di un antico spazio architettonico dalle pareti affrescate e disseminato di sculture. La partecipazione dello spettatore può essere attivata al massimo, mediante il ricorso a tecnologie sofisticate, che ne catturano l’immagine e la ripropongono all’interno della stessa opera che si sta osservando.

L’utilizzo del computer non è attuato solo nella cosiddetta computer art (di cui la net art costituisce un estremo), ma entra ormai in quasi tutte le forme di comunicazione tecno-artistica.

Tutte le denominazioni sin qui usate posseggono solo un significato orientativo, poiché ben pochi degli artisti, che andremo ad elencare, sarebbe contento di trovarsi etichettato rigidamente in una o in un’altra categoria.
Lo sviluppo dell’arte realizzata mediante media tecnologico-elettronici avviene sempre più in direzione multimediale.
Se volessimo condensare in una formula tutta l’arte fondata sulle tecniche audiovisive, potremmo dire che "video e audio non significano più vedo e ascolto, ma volo e m’immergo".
Essere presenti in un ambiente in cui è esposta un’opera tecnoartistica significa essere immersi in un campo, che non è solo elettromagnetico, ma soprattutto elettropsichico: le onde, emesse dall’opera, diventano flussi di elettroni e di coscienza. Tra l’uomo e la macchina si stabilisce un rapporto sensibile ed emozionale.

Tra tutti gli artisti che hanno adottato linguaggi tecnologici di tipo elettronico possiamo ricordare alcune testimonianze significative in un elenco, che, tuttavia, ha qui, in questo contesto, unicamente il valore di un piccolo archivio di documentazione iniziale:
il gruppo italiano 0100101110101101.ORG, Marina Abramovic (anche con Ulay), Vito Acconci, Laurie Anderson, Marcel.lì Antunez Roca, Chris Burden, Dara Birnbaum, Robert Cahen, Peter Campus, Mario Canali, Vuc Cosic, Jean-Paul Fargier, Paul Garrii, Piero Gilardi, Dan Graham, David Grassi, Granular=Synthesis, David Hall, Mona Hatoum, Gary Hill, Jenny Holzer, Christian Jankowski, Allan Kaprow, Knowbotic Research, Shigeco Kubota, Marie-Jo Lafontaine, Eva Marisaldi, Laurent Mignonneau - Christa Sommerer, Charlotte Moorman, Mariko Mori, Antoni Muntadas, Bruce Nauman, Orlan, Roberto Paci Dalò (anche con Isabella Bordoni), Nam June Paik, Marko Peljhan, Pipilotti Rist, Fabrizio Plessi, Mario Sasso, Jeffrey Shaw, Karl Sims, Stelarc, Studio Azzurro, Grazia Toderi, Tommaso Tozzi, Gabriel Uriche, Woody e Steina Vasulka, Giacomo Verde, Wolf Vostell, Katsuiro Yamaguchi.

Il più importante, per ragioni storiche, è l’artista coreano Nam June Paik. Ci siamo già occupati di lui nell’articolo "arte". Potremmo parlarne con una speciale attenzione.

Nam June Paik nasce nel 1932 a Seoul, in Corea. Emigrato con la famiglia in Giappone, studia musica, storia dell’arte e filosofia a Tokyo, dove si laurea in Storia della Musica con una tesi su Arnold Schönberg, l’iniziatore della musica dodecafonica. Trasferitosi in Germania, studia a Monaco e poi a Colonia, allora il centro mondiale per la produzione di musica elettronica, come allievo di Karlheinz Stockausen e discepolo di John Cage. Nel 1961 Paik fonda con George Maciunas, Wolf Vostell e Joseph Beuys il movimento Fluxus, di cui diventa uno dei principali interpreti ed animatori, producendo performance in Europa e in America.

Al 1963 risale la prima esposizione individuale a Wuppertal in Germania: Esposizione di musica elettronica – Televisione elettronica. Paik si afferma come il maestro dell’arte elettronica, facendo sperimentazione e producendo opere in ognuno dei campi in cui questa tecnica lo permette, dall’immagine video alla video-scultura, dall’installazione alla performance.

A Paik si deve la realizzazione del primo "video d’autore" della storia; si tratta della ripresa della visita di Paolo VI a New York nel 1965 - realizzata con il "portapak", la prima telecamera portatile immessa nel mercato dalla Sony - e immediatamente ritrasmessa, mediante un’opportuna video-installazione, nel famoso luogo d’incontro degli artisti dell’avanguardia americana, il Cafè a GoGo. L’uso personale dello strumento di ripresa preannuncia un modo assolutamente nuovo e rivoluzionario di concepire la televisione, non più in maniera passiva, ma in maniera attiva, personale e creativa.

Paik utilizza la televisione non più come un semplice medium, ma come un contenitore di immagini da scardinare e riproporre in un nuovo linguaggio espressivo (mediante montaggi, distorsioni, ripetizioni, tagli) o come un oggetto ironico e futile di arredo domestico. Anche un televisore acceso su un canale morto diventa per Paik un’icona ad altissima valenza estetica; una pila di televisori montati gli uni sugli altri può. Così, diventare un totem elettronico dissacrante e ludico.
In una sorta di omaggio culturale agli artisti a lui più vicini culturalmente, Paik ha utilizzato spesso la registrazione delle loro performance all’interno delle sue video-installazioni; tra questi Charlotte Moorman, una violoncellista d’avanguardia, che fu anche la sua compagna, Joseph Beuys, John Cage, Merce Cunningham.

Paik, nel 1984, realizza una trasmissione, mandata in onda in diretta e in più continenti, grazie all’utilizzo delle prime reti satellitari, intitolata Good Morning, Mr. Orwell, trasmissione a cui parteciparono alcuni tra i più importanti artisti e musicisti di allora.
Nam June Paik vive oggi a New York.

Di Paik scegliamo, qui, solo alcune opere, che hanno un significato particolare nel nostro contesto. Si veda, per altre immagini, il sito, "quasi" ufficiale, di Paik: http://www.chosun.com/docs/gallery/dweller/main.html

Nam Jun Paik, Magnet TV, Withney Museum, New York, 1965

Nam Jun Paik, Magnet TV, Withney Museum, New York, 1965

Nam Jun Paik, Partecipation TV, 1965

Nam Jun Paik, Partecipation TV, 1965

"Il tubo catodico sostituirà la tela": è il titolo di un saggio di Paik, scritto nel 1965, l’anno di queste due opere, È un saggio a cui Paik tiene moltissimo, perché coraggioso e profetico.
Nelle due opere che vediamo, Paik esorcizza la dipendenza dalla televisione, di fronte a cui lo spettatore assume una posizione unicamente recettiva.
Mediante una calamita o un circuito elettrico, che produce un campo elettromagnetico, è possibile modificare il segnale emesso dal televisore, provocando dei fenomeni di interferenza.
Un monitor e una calamita, che, mossa di fronte ad esso da uno spettatore, ne altera lo schermo e la stessa eventuale trasmissione. Interfe­renza! Resistenza alla comunicazione di massa o desiderio di vincere lo schermo, vendicandosi del ruolo di passività a cui siamo condannati?
Le forme che appaiono sullo schermo sono molto simili a quelle che, per altre vie, avevano realizzato gli artisti postinformali, mediante il ricorso a tecniche percettive di carattere optical.
Ciò che cambia, tuttavia, è la sostanza filosofica dell’opera.

Nam Jun Paik, Good Morning, mr Orwell, 1984

Nam Jun Paik, Good Morning, mr Orwell, 1984, frames

Nam Jun Paik, Good Morning, mr Orwell, 1984
Nam Jun Paik, Good Morning, mr Orwell, 1984
Nam Jun Paik, Good Morning, mr Orwell, 1984

Per contrastare la tesi pessimistica di chi vede il pericolo di un connubio eccessivo tra tecnologia avanzata e potere politico Paik polemicamente dedica a Orwell e al suo famoso romanzo, intitolato 1984, una sua opera fondamentale, rea­lizzata come un programma planetario diffuso da un satellite speciale, il Landsat, che era stato appena lanciato nello spazio dalla NASA.

Nelle immagini che vediamo, corrispondenti ai primi frame dell’opera (ora, per altro, diventata un videotape, venduta insieme ad altre registrazioni di performance, in un raro cofanetto di legno di balsa), Peter Gabriel e Laurie Anderson sono ripresi mentre stanno ammirando un cielo virtuale.
Peter Gabriel s’avvicina alla finestra sulla parete di fondo, facendo capire quanto essa sia una finestra artificiale, che s’apre su un nuovo immaginario, non più naturale.
La natura è morta, persino i corpi ormai sono diventati delle macchine tecnoriproduttive: nell’occhio di Peter l’immagine di Laurie è catturata come all’interno di un obiettivo televisivo.

La tesi che animava il romanzo di Orwell era comune anche ad altri romanzi, come, per esempio, La macchina del tempo, di Wells e Il mondo nuovo, di Huxley.
Orwell diventa, con la sua utopia negativa, l'obiettivo da colpire, perché, sostiene Paik, dob­biamo guardare con ottimismo le possibilità liberatorie della tecno­logia.
Nell’ottimismo tecnologico di Paik si rivela la potenza positiva dell'atto artistico, che vede il mondo ancora tutto da scoprire al di là delle per altro giuste considerazioni sulla degenerazione spettacolare dei media.

Nam Jun Paik, Super autostrada elettronica: Bill Clinton mi ha rubato l’idea, Biennale di Venezia, 1993

Nam Jun Paik, Super autostrada elettronica: Bill Clinton mi ha rubato l’idea, Biennale di Venezia, 1993

Per questa gigantesca installazione, Nam Jun Paik ha utilizzato centinaia di televisori e di video-proiettori, le cui immagini erano simultaneamente visibili sulle pareti di un grande ambiente della Biennale di Venezia. Una serie di computers regolava il numero enorme di immagini e di sequenze che apparivano e scomparivano, raggruppandosi e disgregandosi, rincorrendosi e sovrapponendosi in un ritmo incalzante e ad altissima velocità.

Quest’insieme di immagini elettroniche, il cui contenuto riguardava eventi quotidiani, artistici, culturali, storici e politici del mondo contemporaneo, potrebbe essere paragonato al vasto ciclo di affreschi realizzati nel Cinquecento da Michelangelo all’interno della Cappella Sistina, un ciclo nel quale era riassunto simbolicamente tutto il mondo religioso e culturale del cristianesimo. Similmente, nel suo vasto ambiente ricoperto d’immagini in movimento, Paik ha voluto realizzare una rappresentazione simbolica del nostro tempo, in cui l’immagine stessa, indipendentemente da ciò che contiene, è diventata per tutti noi quasi una forma di culto.

Paik intende, con quest’opera, far prendere coscienza allo spettatore che il mondo attuale è dominato dalle immagini, che si sono progressivamente sostituite alla realtà immediata, producendone una di tipo diverso. Il mondo dell’immagine è un mondo ingannevole, fittizio e simulato, ma al quale noi crediamo in maniera ingenua. Nulla ci permette, infatti, di comprendere ormai se ciò che vediamo all’interno di qualsiasi tipo di riproduzione televisiva, cinematografica, fotografica, corrisponda al vero oppure no, dal momento che la tecnica di manipolazione delle immagini è giunta a tale perfezione da essere ruscita a produrre quella che viene definita una vera e propria realtà seconda o virtuale, inindistinguibile da quella fisica e quotidiana.

La tecnica usata da Paik, in quest’opera, è in realtà un insieme di tecniche, ognuna delle quali utilizzata in ciascuna delle fasi operative che hanno portato alla realizzazione dell’opera e alla sua definitiva presentazione espositiva al pubblico. Queste fasi sono rappresentate dalla ripresa iniziale con adeguate apparecchiature televisive, dal montaggio dei filmati e dalla loro successiva manipolazione mediante sovrapposizioni, in genere ottenute al computer, di immagini e di sequenze, alterate inoltre da ulteriori effetti speciali e dalla loro sincronia con basi musicali opportunamente studiate.

Nell’opera che stiamo esaminando, la tecnica non è quindi rappresentata soltanto dalle macchine presenti nello spazio dell’esposizione, i registratori, i videoproiettori, i televisori, i monitors e le casse acustiche, ma anche da quelle che sono servite precedentemente per realizzare l’idea complessiva dell’opera, gli strumenti di registrazione e di riproduzione visiva e sonora, comprendente sintetizzatori, campionatori, banchi di montaggio e di editing e quanto altro è necessario a lavorare sulla produzione e sulla post-produzione delle immagini e dei suoni. Per tecnica, nel caso di un’opera elettronica e televisiva, s’intende anche la conoscenza stessa del modo con cui vanno collegate insieme (la sintassi) le immagini di tipo televisivo e digitale, per riuscire ad esprimere, grazie anche alle specifiche "tecniche" di ripresa e di montaggio, un particolare messaggio.

Il concetto di tecnica presuppone, dunque, il sapere complessivo di un artista nella progettazione, realizzazione ed esposizione della sua opera; si tratta di un sapere contemporaneamente poetico e teorico, scientifico e tecnico, che permette di organizzare in un’unità finale l’insieme degli elementi che sono entrati in gioco nella costituzione stessa dell’opera.

Nam Jun Paik, Super autostrada elettronica: Bill Clinton mi ha rubato l’idea, Biennale di Venezia, 1993

Nam Jun Paik, Super autostrada elettronica: Bill Clinton mi ha rubato l’idea, Biennale di Venezia, 1993

Bibliografia