La comunicazione visiva si serve di immagini! Quasi sempre esse sono riprodotte. Abbiamo in parte già affrontata l'argomento in copia. La riproduzione apre specificatamente il problema dei mezzi tecnici che servono a tal fine e la questione del valore della duplicazione della realtà. Noi viviamo in un mondo di riproduzioni: è la legge che permette la perpetuazione delle specie!
La riproduzione è positiva o negativa, a seconda del punto di vista...
Bisogna innamorarsi per desiderare di riprodurre!
La riproduzione è vietata, sottoposta a regole, a imposizioni, leggi! Quante
volte leggiamo questa indicazione accanto ad un'immagine stampata o davanti ad
un'opera (un quadro, una scultura, una decorazione, un reperto archeologico). Peggio
ancora, quante volte persino delle architetture, delle ingegnerie, delle macchine,
addirittura stazioni, aeroporti, tratti di costa, isole, sono no-photo,
impossibili da riprendere. Nell'epoca delle immagini è difficile riprodurre! Ancor
peggio, è impossibile riprendere e, nonostante ciò, è anche impresa ardua trovare
una riproduzione già fatta dell'oggetto o del luogo che avresti voluto fotografare
o filmare.
Una volta si partiva per luoghi di cui non esistevano riproduzioni, oggi
si parte solo se abbiamo visto le immagini del luogo nel quale abbiamo intenzione
di andare: in effetti andremo, dunque, all'interno dell'immagine che abbiamo pre-selezionato.
Come sappiamo, tutto il mondo è prefigurato.
Un romanzo recente, di cui molto s'è parlato per motivi censori, ruota attorno
a questo fenomeno. Si tratta dell'opera di Michel Houellebecq Piattaforma.
Nel centro del mondo (Bompiani, 2001). Al di là delle vicende sentimentali-erotiche
del personaggio principale, che non interessano, rimane importante, come documento,
la cronaca delle lotte e dei compromessi che si svolge a livello internazionale
tra le maggiori agenzie di viaggio: il mondo è diviso per settori d'intervento
e di pianificazione turistica. Soggiorni arcobaleno, Circuiti della
passione!, Piaceri à la carte sono tre titoli di altrettanti cataloghi
di Nouvelles Frontiéres! Sono il risultato di studi incrociati, che nascono dalla
mente di sociologi dei comportamenti, di tecnici della comunicazione e di semiologi.
Nel 2000, per esempio, il viaggio era stato organizzato in funzione di un notevole
spostamento delle scelte del pubblico, mosso verso Oriente o l'Africa non più
tanto da piaceri egoistici
, quanto per testimoniare una certa forma
di solidarietà sociale
!
Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità
Marc Augé, Dysneyland e altri nonluoghi
Molto più profonda è, naturalmente, l'analisi che, del fenomeno riproduttivo
della realtà, fa uno studioso del calibro di Marc Augé. Disneyland e altri nonluoghi,
lavoro che approfondisce alcune questioni già sollevate nel precedente Nonluoghi.
Introduzione ad un'antropologia della surmodernità, s'apre proprio sul tema
delle vacanze, un argomento che, apparentemente, è tra i più frivoli e comuni che
si possano proporre. Invece, giustamente, Augé rivolta la vacanza fino a farla
diventare un incubo: un po' dovunque in Europa, dei parchi di divertimento vengono
ad occupare posto, sulle carte stradali, nell'intreccio codificato delle vie di
comunicazione, come se fossero vere città o veri villaggi
(p. 10).
Neppure la scelta
– prosegue Augé – di andare davvero a visitare questi
luoghi nonluoghi, piuttosto che aspettare che siano essi a venirci a visitare direttamente
a casa sotto forma televisiva..., ci salva dal fatto che ad accoglierci sono delle
immagini del posto
!
Abbiamo già visto tutto in riproduzione, e, quando siamo ben arrivati sul
posto, cosa troviamo se non riproduzioni ancora, falsi edifici copiati in scala
ridotta, manichini di cerca o plastica, attori truccati da vite vere? Questa riproduzione
è una iperrealtà, una realtà alla seconda potenza, più vera del vero, in quanto
del vero acuisce ed accentua ogni minimo particolare, pur tradendone l'autenticità.
Il racconto che dell'arrivo a Disneyland ne fa Augé è emblematico. Lo riassumo.
Quando si arriva l'emozione nasce dalla scoperta del "paesaggio". All'improvviso,
con un solo colpo d'occhio, appare all'orizzonte il castello della Bella Addormentata:
si staglia sul cielo con le sue torri e le sue cupole, assolutamente simile alle
foto che avevamo visto in televisione, sui giornali e sui pieghevoli pubblicitari.
Questo era il primo piacere di Disneyland: ci si offriva uno spettacolo in
tutto e per tutto simile a quello che c'era stato annunciato!
La riproduzione, dunque, è confortevole; ci rassicura sull'esistenza, non
tanto di sé, quanto di un originale situato in qualche parte; ci conduce per mano
alla fede, perché vogliamo credere nella fedeltà dell'icona e del simbolo; ci consente
di avere nei suoi riguardi una predilezione particolare, perché essa è stata fatta
decisamente per noi, a differenza dell'originale!
Aldo Bonomi, Il distretto del piacere, Bollati Boringhieri, 2000
Dialettizzando con le tesi di Augé, Aldo Bonomi, in questo saggio, altrettanto
fondamentale per comprendere il mondo del nuovo spettacolo, quel Distretto del
piacere nel quale il corpo viene trasformato in "moneta vivente", e nel quale
la comunicazione visiva è l'unica comunicazione offerta liberamente e deliberatamente,
scrive: I luoghi ove il corpo è pura macchina desiderante non sono "nonluoghi" del
tempo di non lavoro e dello svago, ma "iperluoghi" dove si costruiscono gli impulsi
del consumatore e dell'utente finale intorno a cui ruota la produzione postfordista
(p.
14).
Negli iperluoghi domina non tanto la produzione, ma i suoi effetti, la sua
riproduzione!
Uno scenario generale dei "tempi postmoderni" –
dimensione nella quale la riproduzione non solo ha surclassato l'originale, ma
lo ha fatto definitivamente sparire - è stato, tra gli altri, delineato, in maniera
forse eccessivamente catastrofica, ma tuttavia suggestiva, da Theryy Gaudin, presidente
del Gruppo di Ricerche e scambi tecnologici di Parigi, pubblicato da Payot, con
il titolo Recit du prochain siècle, e puntualmente ripreso da Francesco Berardi
nel suo interessante lavoro sulle Politiche della mutazione.
Dice Gaudin, a proposito di questo scenario: L'overdose di informazioni rischia
di avere gravi conseguenze. L'uomo reagisce come un animale rinchiuso nello zoo.
Allontanati dal loro ambiente naturale gli animali prigionieri subiscono degli
stimoli che, psichicamente, li aggrediscono. Alcuni reagiscono diventando bulimici
ed obesi. L'uomo moderno, stressato dalla vita urbana, fa lo stesso. Alla sovrainformazione
risponde con lo zapping. Pratica una presenza-assenza, l'arte di esserci essendo
altrove. La società sovrinformata passa dal fare verso il fingere di fare. Dirigenti
(...) fanno finta di dirigere, ricercatori fanno finta di ricercare, insegnanti
(...) fanno finta di insegnare, religiosi fanno finta di pregare e degli economisti
fanno finta di capire
. (Citato in Francesco Berardi (bifo), Politiche della
mutazione. Immaginario cyberpunk nel passaggio paradigmatico, A/traverso,
Milano 1991, p. 8).
Balandier, nel suo lavoro sul Disordine, precisa: La mutazione del
tempo, dello spazio, del reale, si compie anche nella produzione delle immagini
che, grazie alle nuove tecniche, diventano prolifiche, dando vita a "popolazioni" moltiplicate
e differenti. Le reti che le veicolano, così come i messaggi che le accompagnano,
duplicano la realtà materiale, imponendo una "surrealtà" sempre più densa e inglobante;
consegnano al reale una sorta di "doppio" della vita, rendendo così più confuse
le frontiere che finora gli venivano riconosciute
.(Georges Balandier, Il
disordine. Elogio del movimento, Dedalo, bari 1991, pp. 213-214).
Ma il concetto di riproduzione, come abbiamo detto all'inizio, presuppone anche una riflessione sull'argomento decisamente più difficile da affrontare: la riproduzione artificiale di forme animali e dell'uomo stesso (vedi in copia e in gene).
Quasi in appendice, affrontiamo la questione specificatamente estetica del significato
di riproduzione nel campo dell'arte. Il tema apre infinite problematiche, la prima
delle quali, per quanto ci riguarda, è direttamente la differenza tra realtà e
sua riproduzione artistica!
Dobbiamo subito chiarire una premessa: il termine riproduzione contiene un
paradosso, nel senso che qualsiasi tentativo di raffigurare la realtà è necessariamente
un tentativo... riproduttivo, ma se la raffigurazione è verosimile, allora, l'opera
diventa effettivamente una riproduzione realistica del reale!
Non è un gioco di parole; la questione apre di colpo il dibattito eterno sul significato
storico, estetico e filosofico del concetto stesso di arte e, in subordine, del
concetto specifico di figurativo! Non essendocene occupati, a proposito dell'immagine,
apriamo qui alcune riflessioni sull'eccesso riproduttivo: l'atto mimetico!
Una preistoria necessaria: alla metà circa dell'Ottocento gli artisti, con
tempi diversi e con modalità differenti, giungono al proposito di accentuare al
massimo la componente interpretativa della realtà anche a scapito della fedeltà
oggettiva, lasciando questo compito all'apparente fedeltà riproduttiva della fotografia.
Questo modello soggettivo della rappresentazione artistica attraverserà, salvo
alcune splendide eccezioni (il realismo di Courbet, il realismo socialista, il
momento classico di Picasso o quello postmetafisico di De Chirico, per esempio)
tutta la storia dell'arte della seconda metà dell'Ottocento e di tutto il Novecento.
Solo in tempi più recenti, il movimento iperrealista aprirà nuovamente il
dibattito sul significato provocatorio di un atto consapevolmente imitativo della
realtà.
Ma ci piacerebbe concludere sollevando l'interessante conseguenza di una
modalità rappresentativa portata alle estreme conseguenze: l'atto mimetico.
Giulio Paolini, Mimesis, 1976
Giulio Paolini, Mimesis, 1976: due calchi, due riproduzioni, dunque, di
una scultura classica, sono posti di fronte l'uno all'altro. Doppio gioco di sguardi
e di rimandi: la coppia di copie, cortocircuitando la relazione di sguardi che
le attrae e nello stesso tempo le pone in tensione, sviluppa un'energia potente,
bipolare, che ha al suo centro la figura metaforica del doppio e dell'artificio.
Proprio l'esaltazione di questa artificialità, conseguita lavorando
sulla riproduzione ostentata e raddoppiata di un originale, enuncia
l'originalità dell'opera. Tanto più un'opera appare oggi originale, quanto più
essa è artificiale.
La mimesi, vale a dire l'imitazione perfetta della realtà, fino a confondere
il vero dal falso, costituisce la caratteristica più significativa della dimensione
postmoderna, nella quale si dichiara definitivamente tramontata la luce che illumina
la verità, e, quindi, la possibilità di distinguere ciò che è reale dal suo simulacro.
L'effetto di massima attuazione del programma mimetico della realtà si potrebbe
ottenere all'interno della Realtà virtuale.
Ma anche questo aspetto è oggetto di profonde riflessioni ed interrogativi.
È giusto procedere ad una clonazione iperrealistica del reale, che già esiste,
o non è forse meglio andare verso una direzione, forse più spaventosa ancora, che
è quella della creazione di nuove condizioni d'esperienza di vita digitale?
Non è, a questo punto, fuorviante concludere con una riflessione... classica,
che ci riporta all'origine!
Già al tempo della classicità greca il problema centrale della funzione dell'immagine,
vale a dire se essa debba riprodurre o interpretare il reale, costituiva materia
di speculazione filosofica e di letteratura aneddotica. Ricordiamo insieme l'episodio
della celebre gara tra i due artisti più famosi del V secolo a. C., Zeusi (uno
dei primi grandi artisti a seguire un vero e proprio programma d'arte, consistente
nella creazione pittorica di mondi fantastici, spesso formalmente risolti in maniera
antimimetica) e Parrasio (famoso per la precisione del disegno e la cura dell'armonia
simmetrica della composizione), così come c'è stato tramandato da Plinio – il primo
grande storico e critico d'arte! - nella sua Storia Naturale.
Si racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi; mentre questi presentò dell'uva
dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose
una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno d'orgoglio per il giudizio
degli uccelli, chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro;
dopo essersi accorto dell'errore, gli concesse la vittoria con nobile modestia:
se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore
(Gaio
Plinio Secondo, Storia Naturale, V, Mineralogia e storia dell'arte, Einaudi,
Torino, 1988, pagg. 361-363).
Nicholas Negroponte, in Essere digitali (Sperling & Kufler, Milano 1995)
fantastica sul giorno in cui potrà sintonizzare la sua "finestra elettronica" della
sua stanza di Boston su un paesaggio alpino, di cui sentire il profumo degli alberi
e del letame (digitale...) e ascoltare il suono dei campanacci delle mucche al
pascolo...