Nam June Paik, TV Buddha, 1974 (e altre edizioni)
Nam June Paik è annoverabile tra i fondatori della video-arte; la sua formazione culturale avviene nel fulcro dell'intellighenzia europea, a Darmstadt, dove durante il dopoguerra si stavano gettando le basi teoriche della rivoluzionaria musica post-tonale, la dodecafonia di Stockhausen, costruita di soli timbri e debitrice nei confronti della scala pentatonica cinese. Nel 1952, in questo clima di vivacità intellettuale nasce quello sconvolgimento del pensiero, della cultura e delle arti che nella musica si avverte prima che nell'arte figurativa, turbata successivamente dal movimento dell'Informale, dal minimal, dalla Pop art, dal New Dada. In quell'anno, sull'onda dell'intersezione tra la cultura dadaista e quella giapponese si sviluppa un nuovo pensiero radicale che influenzerà tutta la cultura occidentale.
Il coreano Paik lavora sul televisore, elettrodomestico divenuto oggetto simbolico di differenziazione, e sulla televisione che, trasmessa dall'hardware, diviene uno strumento ideologico il cui potenziale era già stato intuito dalle dittature nel rapporto con la radio trasformatrice delle menti delle masse.
L'artista, in una delle sue performance, sintonizza un televisore (spegnendo la televisione) su un canale morto facendoci comprendere come la comunicazione prodotta da quell'oggetto sia totalmente priva di contenuti; successivamente con una calamita in mano si muove di fronte allo schermo producendo forme continuamente mutevoli.
In un'altra installazione la televisione si introduce nel televisore: una banda luminosa attraversa gli schermi compiendo una rotazione completa, procedendo di grado in grado, di apparecchio in apparecchio.
Una sua opera ancora è dedicata alla luna, che viene ripresa in tutte le sue fasi durante una notte e, trasmessa su numerosi televisori posti in fila, percorre una curva identificandosi sempre in un punto differente dello schermo: la televisione propone una realtà composta da soli frames.
La quintessenza del pensiero degli anni Cinquanta si identifica nello spirito laico buddista che attraversa la cultura occidentale nel pieno rifiuto del Cristianesimo affascinata improvvisamente da una non-religione caratterizzata dall'assenza della divinità e fondata sull'immanenza transeunte dell'essere.
L'installazione che vediamo fa parte di una lunga serie di edizioni anche precedenti e si costruisce sulla relazione tra il Buddha e la sua immagine che, ripresa da una telecamera, viene "lanciata" nel televisore: la scultura guarda il proprio ritratto, ma il "vero" Buddha risiede nell'assenza, nella tensione sussistente tra le due differenti rappresentazioni. Ricordiamoci che Buddha è Tao: insegnamento e sentiero ma anche il nulla, il vuoto, l'insignificanza.
In quest'opera Paik colloca anche il confronto tra due mitologie, quella dell'impermanenza orientale e quella dell'impermanenza televisiva che i più avveduti intellettuali dell'epoca avevano già additato come strumento principale di una efferata politica di controllo delle masse. Si assiste dunque allo scontro tra il terzo occhio indù tracciato dal gesto coscientizzante "Tilaka" nel centro della fronte e il terzo occhio indagatore del grande fratello.
Concludendo, l'immanenza invisibile del Buddha insieme al suo silenzio (come ogni maestro zen, egli non insegna nulla in modo diretto) è lì, assisa, di fronte all'orribile rumore del mondo, di-mostrato dalla televisione.