Ryôan-ji, Muromachi period (1334-1568), Kyoto, foto elf, 2008
Il giardino roccioso del tempio del dragone della pace (Ryôan-ji) a Kyoto, conosciuto come Karesansui, è un giardino artificiale al cospetto di cui il pubblico giapponese, come vediamo nella fotografia, siede immobile per lunghe ore durante le quali attivare lo sguardo.
Cinque isole di roccia composte a loro volta da più pietre (cinque, due, tre, due, tre), quindici in tutto, emergono dal mare di sassolini bianchi costantemente rastrellati e da qualsiasi prospettiva le si guardi sarà sempre possibile contarne solo quattordici.
Questo giardino, a giudizio di elf, è esattamente l'antagonista della cattedrale gotica: si tratta di una ecclesia in cui il vuoto prevale sul pieno, un luogo sacro (sacrum, sacellum) che nulla ha a che fare con la religione. La cangianza, il fluire, la metamorfosi della realtà sono immobilizzati in questa natura-architettura eterna costituita da una materia quasi impercettibile che trascende nella geometria calda, opaca, leggermente aleatoria, un poco gratuita del "wabi-sabi", il culmine della poetica zen. L'eleganza orientale risiede appunto tra il "wabi-sabi", la dissonanza inaspettata (si apre una parentesi sul dandy, il personaggio borghese che nell'Ottocento scopre il fascino dell'imperfezione) e "viki", dal significato intraducibile assimilabile al francese "chic", ovvero quell'eleganza estremamente raffinata che implica l'immediata appartenenza a un codice di identificazione. È "viki" la linea verticale tipica della vestaglia giapponese (costume tradizionale) che può essere monocroma o decorata con verticali fili sottilissimi di due tonalità di grigio impercettibilmente differenti. Una linea più evidente sconfinerebbe nel cattivo gusto, inaccettabile nella cultura giapponese, che potremmo chiamare "kitch", un atteggiamento collocato al di fuori dello "chic" e nascosto dietro il dandismo, che corrisponde all'amplificazione dei caratteri significanti di un codice.