Gino de Dominicis, Seconda soluzione d’Immortalità (L’Universo è Immobile), Biennale di Venezia, 1972, foto elf
Questa opera di Gino de Dominicis suscitò scandalo in tutto il mondo sfruttando determinati status topologici, fisici e sociali per denunciare l'esclusione e al tempo stesso la sovraesposizione mediatica dell'Altro indotta dalla "regle" contemporanea.
Sulla sedia collocata nel luogo cruciale dell'angolo sedeva in origine un ragazzo Dawn (Paolo Rossi che abitava a Venezia presso l'arsenale) poi forzatamente sostituito da una bambina, figura portatrice dello stesso significato simbolico (nella condizione della totale “innocenza”) di fronte alla quale erano posti un cubo invisibile, una palla di gomma (caduta da due metri) nell'attimo precedente al rimbalzo e una pietra in attesa di movimento. Sopra a quel masso simbolo della realtà viene issato alto sulla parete adiacente, ogni giornata dell'esposizione, un signore che avremmo visto sempre intento a leggere il giornale del mattino.
La produzione di senso orbita attorno alla opaca materia di quel sasso che dialettizza e produce scontro con il cubo invisibile, con la palla immobilizzata appena prima o appena dopo un rimbalzo e con l'individuo emarginato dalla società e gettato in pasto alle divinità mediatiche così come l'alunno collocato nell'angolo dalla vecchia scuola autoritaria ed esposto, nel punto di massima visibilità, al ludibrio collettivo, nell’opera di Cattelan.