Manifesto della cosa tra arte e merce
Tutto ciò che è, è prodotto:
dalla tecnica mediante i processi manuali dell'artigianato e meccanici dell'industria, o attraverso le rappresentazioni simboliche e linguistiche della comunicazione e dell'arte. Pertanto ogni "cosa" è sempre un prodotto anche qualora non sia predicata ossia messa in forma, da meccanismi tecnici.
Tutto ciò che è prodotto viene, nel sistema capitalistico, inevitabilmente trasformato in merce, perché l'essenza di ogni "cosa" è, in questo contesto socio-economico-politico, avvallata solamente mediante il suo inserimento nel mercato. Se un'entità è vendibile, spendibile, acquistabile, scambiabile essa avrò assurto allo status di "cosa".
Qualsiasi "cosa" venga trasformata in prodotto è una merce e per diffondersi non può venir meno alla necessità della rischiosa esposizione in ogni accezione, agli occhi, al consumo, alla storia e al giudizio non solo estetico ma anche etico, morale, politico, economico.
Eccoci giunti alla riflessione risolutiva che ci fa comprendere come l'arte rientri a pieno titolo nel dominio di competenza del designer: è anch'essa una produzione ed esponendosi traduce l'opera in prodotto, dunque in merce. Non si può infatti tautologicamente dare un'opera che non passi attraverso un processo di esposizione, solamente l'accesso alla storia e al giudizio collettivo rende un'opera d'arte tale.
L'esposizione deve necessariamente essere universale così come quella che nel 1851 portò a Londra tutte le merci del mondo, opere industriali, tecniche, artigianali, decorative e artistiche. Merci comunque che portano la ferita ancora aperta dell'alienazione e del furto capitalistico, come illustrato da Marx nel Capitale. Dal 1851 a oggi l'esposizione della merce si è fatta universale attraverso quel nonluogo (vedi Marc Augé), l'odierno luogo per eccellenza invece, che è il supermercato, meccanismo criminale legalizzato di induzione al furto simbolico dell'universo delle merci nel suo complesso, attuato mediante l'esposizione del feticcio.
B.
Karl Marx, Il Capitale, 1867