Lezione 06
Lezione 06

O quadri o inquadri

(21 Marzo 2011)

parte seconda

Caravaggio, Narciso, 1598-99, Galleria Borghese, Roma

Quella del Narciso è una delle figure più complicate della psicoanalisi e della mitologia in relazione alla quale non possiamo che far riferimento all'opera fondamentale per comprendere anche le trasformazioni del mito nell’analisi attuale: le Metamorfosi di Ovidio (senza dimenticare il De Rerum Natura di Lucrezio). La versione Ovidiana del mito racconta che Narciso fosse stato dato alla luce dalla bellissima ninfa Liriope, violentata dalla divinità fluviale Cefiso dopo averla imprigionata tra i suoi flutti. La prima a verificare l'infallibilità dei responsi del vate Tiresia fu proprio la ninfa preoccupata per il destino del figlioletto. Interrogato, l'indovino rispose che il bambino sarebbe giunto a vedere una lunga e tarda vecchiaia solamente "se non avrebbe conosciuto sé stesso". Motto che nell'arco di 2500 anni viene rielaborato della filosofia moderna in "conosci l'altro". La profezia fu confermata dalla morte accorsa in seguito a una singolare passione. Corteggiato da molti giovani e moltissime fanciulle, Narciso ancora giovinetto che ogni avance superbamente respingeva, un giorno si addentrò in un bosco per dedicarsi alla caccia. Nella selva la ninfa Eco lo scorse innamorandosene all'istante, ma era incapace di rivolgergli parola a causa della punizione inflittale da Giunone che la costringeva a ripetere le ultime parole delle frasi a lei rivolte. Scoperta dal giovane e da lui impetuosamente scacciata, delusa e affranta si rifugiò gemente in valli lontane. In seguito ad analoghe situazioni il cielo volle che su Narciso si scagliasse lo stesso destino di amore impossibile assicurato a ogni suo spasimante: giunto in una radura, rinfrancandosi presso uno specchio d'acqua scorse il suo volto riflesso e se ne innamorò perdutamente. Compresa l'impossibilità della sua passione, morente si accasciò tra i gemiti ripetuti a grande lontananza dalla ninfa Eco la cui bellezza era ormai sfiorita. Ecco compiuta la profezia di Tiresia.

Il dipinto di Caravaggio, dopo aver appreso la vicenda narrata da Ovidio, ci permette di aprire la riflessione sul significato dell'immagine riflessa: ogni immagine è narcisistica. E, citando Leonardo: "ogni ritratto dipinto da me è un ritratto di me". Ogni artista ritrova dunque la sua interiorità esteriorizzata nelle sue opere, riproducendo sempre la realtà filtrata dalla propria sensibilità e mai il "reale". Ogni ritratto è allora autocompiacimento che si estremizza nelle sterminate serie autoritrattistiche di Rembrandt e di Van Gogh attraverso cui l'artista costruisce la propria biografia per immagini (tutta la serie corrisponde a un'unica opera), specchio che riflette l'immagine del proprio sé preservandolo illusoriamente dalla senescenza (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray).

La stessa dinamica virtualmente in bilico tra still life e dead zone è rintracciabile nei cosiddetti "ritratti del Fayoum" egizi di età tardoimperiale i quali venivano dipinti preventivamente da grandi artisti per poi essere posti sui sarcofagi di illustri defunti al fine di renderli immortali.

B.
Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi. Testo latino a fronte, Einaudi, 1994