Claude Monet, Impression. Soleil levant, 1872, Musee Marmottan, Paris
La genialità degli impressionisti fu nella trasformazione delle "impressioni" in quadri eterni.
Eccoci dunque al cospetto dell'opera di Monet che tradizionalmente inaugura l'impressionismo, opera riguardo alla quale il giornalista e critico parigino Louis Leroy pronunciò la celeberrima espressione divenuta bandiera della nuova esperienza artistica.
Il processo generativo delle opere impressioniste ha come fulcro il "timing" perché a venir colta è proprio l'impressione di quel momentum la cui luce l'artista intende tradurre in colore. Il tempo come grande tema di riflessione emerge alle soglie del Novecento, e se i coltissimi (non naïve) impressionisti cercavano di cogliere l'istante per fermare l'eterno fluire, Henri Bergson ne parla in termini di durata. Così come scattare con la macchina fotografica, bloccare il tempo e dunque l'avanzare della morte corrisponde a ritenere che, paradossalmente, solo l'attimo possa produrre l'eterno. Questa sfida titanica è condotta dall'impressionista non nella stabilità luminosa del suo atelier bensì proprio nel regno della variabilità della luce: nel tempo ovvero immerso nel transeunte. Questi artisti dunque escono dallo studio - superando la consueta formula della "en plein air" potremmo dire - per rappresentare esattamente la "plein air", favoriti peraltro dallo sviluppo delle nuove tecniche di conservazione del colore in tubetti portatili. Essi si gettano però nel mondo esterno, comunque limitato e quasi domestico, non per cercare i loro soggetti (temi) come spesso si legge nei più triti manuali, ma per individuare i tempi nei quali cogliere determinati effetti di luce e di viva realtà. Questa luce, però, irradiata da un sole che con gli impressionisti tramonta, è irrapresentabile e la tragedia è già implicita nell'opera fondativa del movimento (1872).
Il naufragio del pittore della vita moderna (saggio fondamentale di Charles Baudelaire, 1863) si attua nel regno del colore.
La prima mostra impressionista si tenne nel 1874 presso lo studio del fotografo Nadar: l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica si confronta con la pittura (Walter Benjamin, vedi bibliografia). L'ormai affermata e riconosciuta fotografia si può ora permettere di ospitare un'espressione innovativa e per certi versi eversiva dell'arte tradizionale.
Ma siamo sicuri che Nadar fosse "solo" un fotografo?
In realtà dobbiamo considerarlo un intellettuale poliedrico che si serviva anche della macchina fotografica per analizzare e "registrare" la vita moderna nell'ambito di una ricerca che si sviluppa in quattro differenti dimensioni. La prima lo vede impegnato come il famoso fotografo di ritratti, interprete filosofico dei suoi compagni di avventure, personalità già affermate come Baudelaire che gli permisero di passare alla storia. Se Disdéri era il fotografo del potere, il nostro era il testimone dell'intellighenzia parigina, ma non solo. La sua seconda dimensione di ricerca è la fotografia "a volo di uccello" attraverso cui ricreare le visioni cittadine di Leonardo da Vinci e Jacopo de' Barbari (celebre veduta di Venezia, 1500), suggerendo una nuova prospettiva di conoscenza del tessuto urbano. Le altre due dimensioni sono la fotografia a livello del suolo, rappresentazione "frontale" di piazze, strade, boulevard, e la fotografia che rivolge il suo sguardo agli inferi di Parigi, alle catacombe e alle fogne. Il lavoro di Nadar produce dunque quello che possiamo definire un palinsesto della città moderna: dall'alto, all'orizzonte e dal basso, opera dunque di un grande concettuale, il vero ospite della mostra degli impressionisti, capace di dischiudere inedite prospettive.
Questi artisti innovatori (Monet, Renoir, Pissarro, Cézanne, Morisot, Degas) si ritrovano nel 1874 condividendo il progetto di ricostruire la storia dell'arte alla luce della loro approfondita conoscenza dei grandi Delacroix, Corot, Courbet, dei contemporanei, ma soprattutto dei maestri ideali rinascimentali, Giorgione e Tiziano su tutti, dai quali apprendono la nozione di attimo fuggente (vedi Lorenzo de' Medici e Poliziano) facendola propria nel loro proposito di cogliere l'illusione della realtà rappresentandone l'istante luminoso. Nell'attitudine quasi decadente dell'impossibilità della speranza nel futuro (da Poliziano a Goethe) si colloca la poetica impressionista.
B.
Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, 1863
Henri Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, in Opere (1889-1896), trad. di F. Sassi, Mondadori