Attenzione allo sguardo indagatore e penetrante!
Inauguriamo la trattazione sui rapporti tra occhio e sguardo facendo riferimento a uno dei più autorevoli contributi elaborati sul tema: Della Teoria dei Colori ("Zur Farbenlehre", 1810) di quello stesso Goethe di cui leggiamo anche Le affinità elettive, I dolori del giovane Werther e Faust (ricordiamo il passo in cui il grande pensatore per bocca del suo protagonista ci esorta a "formare" la nostra esistenza tra due biblioteche, vivendo tra i volumi ma anche nella fisicità del mondo). L'autore, del quale possiamo ammirare gli acquerelli riprodotti nell'edizione originale del testo, si fa portatore di un pensiero cruciale sulla relazione occhio / sguardo. Goethe paragona infatti, mediante atroce materializzazione, il mondo al pascolo dell'occhio "Augenweide" e di contro afferma che il colore, di fatto, non esista, corrispondendo al risultato di una serie di funzioni (perlomeno undici equazioni definitorie!), ovvero: tutto ciò che vediamo è in-descrivibile.
La personalità italiana che più si è occupata delle suddette questioni è Mario Ballocco che attraverso analisi approfondite da lui concepite come opere artistiche sonda il problema relativo alla possibilità di elaborare un'opera che sia al tempo stesso una dimostrazione scientifica.
Il nostro tema è anche affrontato dal grande psicoanalista Jacques Lacan nell'opera Il seminario - libro XI. Nell'ambito di un seminario, in cui un maestro dopo aver fornito una bibliografia "semina" una tesi i cui frutti progressivamente si sviluppano e vengono raccolti dagli iscritti, un ascoltatore pone la critica ma attesa domanda spiazzante: "cos'è la pittura?". Il maestro propone allora la tesi secondo cui nel quadro e nella pittura, sempre si manifesti una dinamica riconducibile allo sguardo, "una selezione di un certo modo di sguardo". Ciò che lo spettatore riceve dal pittore di fronte al quadro che quest'ultimo presenta è qualcosa gettato in pasto all'occhio, un occhio che però si vuole disarmato in virtù della riproposizione dell'apollineo effetto pacificante della pittura. Elf ritiene invece, in parziale disaccordo con Lacan, che lo sguardo debba essere armato e non amabile: lo sguardo come fallo ma anche come katana detiene la grande potenza penetrativa che gli permette di entrare nel corpo della coscienza. Ecco che ricollegandoci a Goethe e al Faust possiamo affermare che sia doveroso visitare la biblioteca e la pinacoteca per riconoscere la presenza di un altro universo dietro il libro e dietro l'immagine, considerabili attraverso una prospettiva nuova e rivoluzionaria.
Permettiamoci allora di concludere chiamando in causa la sensibilità, acuita e formata nelle estetiche ("aesthesis" significa appunto sensibilità), che ci permette di comprendere il mondo nelle sue aporie e atrocità.
Tutto ciò che abbiamo detto trova la sua chiave di volta in una rielaborazione ludica della formula della relatività di Einstein: E = mc², in cui "E" sta per emozione, "ex-motus" in quanto moto dell'animo di un singolo che scaturisce dal piatto vivere quotidiano; "m" rappresenta non più la massa bensì la materialità dell'oggetto che viene moltiplicata per "c²", il quadrato del concetto. Piano fisico e piano ideale sono dunque inscindibili nella generazione dell'emozione , ma se l'occhio vede solo la materia, sarà lo sguardo a penetrare nell'idea.
B.
Johann Wolfgang von Goethe, Della Teoria dei Colori
Jacques Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi 1979