Francesco Mazzola (Parmigianino), volta del Camerino di Diana, 1524, Rocca Sanvitale di Fontanellato, foto elf
Nello scrigno meraviglioso che è la reggia di Fontanellato troviamo questa piccola camera "alchemica".
Così come l'alchimista cerca la pietra filosofale ovvero l'origine dei misteri del mondo, così l'artista lavora sulle "estreme cose" (Über die letzten Dinge, citando un'opera di Weininger) ossia su ciò che non è quotidiano ma solo intuibile per formula magica: mondi che non sono di questo mondo ma solo sfiorati da personalità - di cui abbiamo già parlato - come Beethoven, Wagner, Mozart, Strauss, Scelsi…
La sfera dell'alchimia impone però la scelta tra la "albedo", via positiva del sole e dell'eterna rinascita, e la "nigredo", che affonda le sue radici nelle tenebre della caverna e della miniera. Gli affreschi della stanza in cui ci troviamo fanno riferimento al primo sentiero, a una albedo filosofica connessa alla trasformazione che sia l'alchimista sia l'artista (danza come forma d'arte che trasforma il corpo umano in un'entità priva di gravità; vedi Rudol'f Nuriev), con fini e strumenti differenti, cercano di operare. Se la trasformazione alchemica rappresenta comunque una metamorfosi, eccoci ricollegati al motivo ovidiano delle pareti dipinte dal Parmigianino che raccontano il mito di Diana e Atteone.
L'eroe, avendo durante una battuta di caccia scorto le nudità della bellissima dea intenta al bagno, viene trasformato in cervo e, privato della parola. divorato come una preda dai suoi stessi cani un tempo coraggiosi servitori.
La "mise en abyme" dell'opera non risiede però nella messa in forma pittorica della metamorfosi da uomo in animale; alzando infatti lo sguardo scopriamo che sopra di noi il paradeison si chiude in quell'occhio della volta, uno specchio rotondo che suggerendo l'accesso a un universo sovrastante riflette null'altro che la nostra immagine. Al centro di questo raffinato meccanismo concettuale ci siamo solamente noi, sgomenti, coinvolti in una trasformazione che non possiamo sperare abbia esiti gioiosi, come ci ricorda l'autore attraverso la scritta che circonda lo "spaeculum caeli", RESPICE FINEM: guarda (chiama in causa lo sguardo, non l'occhio) la fine.
Lettura del passo ovidiano.
B.
Ovidio, Metamorfosi, Einaudi, 2005