Anish Kapoor, Descent into Limbo, 1992, Kassel, foto elf
Passiamo ora a questo vero e proprio apparato alchemico che cela il luogo dell'inconoscibile.
Si tratta di un cubo di cemento all'interno del quale si accede, accompagnati dall'autore stesso, attraverso una piccola porta di ferro; l'illuminazione, costante durante tutta la giornata, proviene da un taglio superiore (brise soleil alla Le Corbusier) da cui la luce entra indirettamente. Nel piccolo ambiente il pavimento ospita un cerchio blu intensissimo (l'esoterico colore di Klein) grazie a cui l'artista inglese-ebreo-indiano ci porta a fare un'inaspettata esperienza. Questo misterioso disco centrale quasi attira lo spettatore verso di sé inducendolo al contatto fisico con la alchemica materia (intanto Kapoor, sorridendo, guarda la scena). La nostra mano affonda nel cerchio blu: non si tratta di una figura disegnata bensì di una voragine di cui non si intravede la fine, un limbo in cui veniamo sospesi.
Quella del limbo è un'invenzione teologica, non più riconosciuta dalla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, che trasuda tutta la crudeltà ammantata di speranza che è tipica delle religioni. Il concetto, comunque potentissimo, che fa capo a questa condizione temporanea di "sospensione" si riferisce alla collocazione fisica su un bordo e pone la questione dell'estensione reale o virtuale del confine e della sua quantificazione (vedi Michel Serres).
Le due figure del cerchio circolare del Parmigianino e di questo disco di Kapoor costruiscono idealmente una colonna assolutamente insondabile che collega i cieli agli inferi.