Artista sconosciuto, vicino a Kano Motonobu, abate capo del tempio Daisen-in (1513 ca), Tokyo National Museum, foto elf
Un maestro giapponese intento nella lettura d'un libro è in procinto di oltrepassare su uno stretto ponticello la pericolosa fenditura. Il monaco giapponese, il savio Zen che partecipa del Tao (il termine Tao significa contemporaneamente "il maestro", "la via" e "il nulla"), sta anche oltrepassando il limite fisico tra le due opere. Siamo anche qui al cospetto di una sfinge: dobbiamo decidere se continuare a leggere il libro e rischiare di cadere giù dal ponte della vita o riporre la conoscenza per essere sicuri di vivere senza rischi.
Un solco divide le terre, i popoli, le culture. Tra tutti i confini di fiume, il confine (il Limes) danubiano con la sua particolare valenza: da una parte i "barbari", dall'altra i "civili" romani tra i quali si poté realizzare uno scambio e una comunicazione solamente attraverso la momentanea deposizione delle armi. Proprio grazie al contatto tra le due civiltà siamo ora in grado di ammirare la stranissima oreficeria barbarica, artefice di gioielli caratterizzati dagli stessi viluppi fitomorfici e zoomorfici che troviamo precedentemente sulla pelle di un uomo preistorico rinvenuto a Pazirik al centro della pianura siberiana. Questi stretti viluppi ricompaiono in forme analoghe nell'arte paleocristiana, nel medioevo, nel barocco, giungendo addirittura fino all'informale, portatori dello stesso significato: l'arte riempie la sconfinata paura del vuoto, del nulla, del deserto, delle distanze.