Paolo Gioli, Camere stenopeiche, cm 10x12 e cm 20x25, 1979
Lo sperimentatore Paolo Gioli facendo uso della cosiddetta macchina stenopeica recupera, riadattandola, una tradizione tecnologica che nasce con l'uomo. Attraverso la derubricazione dello strumento fotografico da arma dotata di mirino a organo puramente percettivo, costituito da una semplice scatola dotata di foro, viene negata l'inquadratura e la messa a fuoco, ovvero il carattere voyeuristico e fallace della fotografia. In sostanza si realizza un'auto-fotografia del mondo neutralizzando lo sguardo orientato e penetrante dell'obiettivo, senza poter però evitare la produzione dell'immagine ossia la sostituzione del reale come fecero i grandi dell'arte ricordati proprio attraverso le immagini. Come afferma Didi-Huberman nel suo saggio importantissimo Immagini malgrado tutto non possiamo fare a meno di loro, ne abbiamo assolutamente bisogno in particolare vivendo in un mondo in cui il reale si è nascosto dietro lo schermo.