Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, 1434, National Gallery, Londra
Possiamo affermare che con Jan Van Eyck, tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, si apra un bivio epocale nella storia dell'arte: in Italia il Rinascimento - con Masaccio, al nord la pittura fiamminga. La rivoluzione di Van Eyck si realizza con la sua adozione definitiva della tecnica della pittura a olio, riuscendo a ottenere la "sfumatura" ovvero la dematerializzazione del corpo in termini di mancanza di bordi grafici tra esso e lo sfondo.
Il quadro che osserviamo viene commissionato all'artista dal banchiere lucchese Giovanni Arnolfini, attivo a Bruges, e ritrae per l'eternità il potente borghese insieme alla consorte Giovanna Cenami: lei, incinta, in un atteggiamento tipicamente materno, lui immobilizzato in un terribile gesto decisionale (asse verticale) con cui sembra segnalare al pittore-fotografo la giusta inquadratura da immettere nella storia. Sulla parete di sfondo l'autore stesso rappresenta (nel quadro!) la propria firma sopra a uno specchio concavo che, come una macchina fotografica, istantaneizza la situazione ("Johannes De Eyck Fuit Hic 1434" anche il pittore, non solo i suoi personaggi, sono qui per sempre - analisi delle differenze tra azioni e tempi nel linguaggio indoeuropeo).
Le dieci scene della passione di Cristo vengono inserite in quello che è un vero e proprio ingranaggio meccanico al cui centro vediamo i coniugi di spalle e frontalmente il pittore- fotografo insieme al suo assistente. Al di là dei simboli presenti nel dipinto, come l'alcova rossa immagine della passione e gli zoccoli fiamminghi in primo piano, orientati verso l'uscita da cui proviene la luce, è doveroso soffermarci sulla natura morta presente sul bordo tra l'ambiente interno della camera e l'esterno del mondo: sul davanzale, un frutto delocalizzato. Lo spazio che intravediamo al di là della finestra non è popolato da alcuna natura bensì solamente da un muro cieco. Lo stesso muro che ritroviamo nel capolavoro di David Lynch The Elephant Man, oltre il quale il protagonista, condannato a una "sanitaria" prigionia scorge solamente la guglia di una cattedrale gotica. Egli riesce a costruire il modello completo dell'edificio esclusivamente per via deduttiva. Superato il limite fatale ha trovato dentro sé stesso la forma globale del mondo simboleggiata dalla sublimità della cattedrale.
La natura, quindi, non è più fuori ma si colloca sul bordo, essa è artificiale. La realtà e il paesaggio rientrano però attraverso l'artificio dello specchio concavo riflettendosi nel fish-eye in cui l'artista, operando una "mise en abyme", si autorappresenta insieme ai suoi personaggi suggellati dalla Passio Christi.