Lezione 08
Lezione 08

Occhio allo sguardo

(04 aprile 2011)

parte prima

Edouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881, Tate Gallery, Londra

Quest'opera è una vera sfinge di interpretazione il cui segreto risiede nel vertice in alto a sinistra dove compaiono i piedi di un trapezista, relativamente alla figura del quale rimandiamo a quanto detto sull'opera di Klee e sulla condizione dell'artista sempre in equilibrio precario su un filo sottilissimo.
Edouard Manet, che solo tardivamente verrà ammesso nel gruppo degli impressionisti, è per certi aspetti un loro anticipatore. L'ambientazione del quadro considerato è il caffè, il luogo d'incontro prediletto dagli intellettuali dell'Ottocento, in particolare si tratta del caffè concerto delle Folies-Bergère a Parigi. In questo luogo così magico in cui si ricovera "l'uomo della folla", Manet costruisce questo impossibile ritratto nato in atelier della sua modella Suzanne fingendola cameriera, riprendendo un gioco di specchi che alle spalle della ragazza ci restituiscono la notturna vita moderna.
Il dipinto nel suo complesso è una sfida alla sua comprensione ma è anche un'opera politica e storica in quanto ci racconta moltissimo sulla società dell'epoca: la "massa umana" composta da ogni ceto sociale è rispecchiata dalla varietà di bevande presenti sul banco dove si trovano accostati lo champagne più caro e la birra più economica.
Il caffè è uno dei tòpoi letterari e artistici più importanti della modernità, il luogo illuminato nelle ore notturne in cui si ristora l'ultimo dei "flaneurs" della cui figura molto tratta Henri Bergson riprendendo Baudelaire, il quale a sua volta fa riferimento a Edgar Allan Poe, colui che per primo comprende come si sia trasformata la notte nella città illuminata. Quest'ultimo scrive il racconto intitolato L'uomo della folla (numerosissimi commentatori, da Benjamin a Baudrillard) in cui traccia le linee analitiche della rivoluzione metropolitana, della città che non trova più pace così come la racconta anche Benjamin nei Passages. La città vetrata e illuminata senza soluzione di continuità diviene una volta per tutte il regno del feticcio ovvero della merce che manifesta la sua natura simbolica di un tutto altro (vedi Marx). Poe scopre come il soggetto della storia nella civiltà moderna non sia più l'individuo in quanto singolo bensì la massa eterogenea.

Tornando all'opera di Manet sottolineiamo l'illusione di profondità generata dallo specchio di fronte al quale osservatore del dipinto e ipotetico avventore condividono la medesima posizione. Davanti a Suzanne c'è effettivamente un avventore (si tratta di un noto amico dell'artista) che è però incomprensibilmente spostato a destra (doppia prospettiva?). La composizione è ritmata da quattro sezioni orizzontali: il riflesso della balconata, il riflesso del banco, la parete rosso-oro del retrobanco, il bancone, ma solamente queste ultime due non sono immagini virtuali: il dominio della realtà fisica si estende nel breve spazio tra il corpo della cameriera e il ripiano in marmo bianco, tutto il resto non è altro che riflesso ingannevole. La posizione delle bottiglie che vediamo specchiate non corrisponde a quella effettiva sul banco a sinistra, si tratta infatti di un espediente attraverso cui Manet dichiara l'inganno insito nella pittura, un inganno apparentemente ovvio che nasconde misteri.
Osservando la figura di Suzanne notiamo la sua artificiosità: sembra infatti che tra le due "metà" longitudinali del suo corpo sussista una simmetria speculare come se vedessimo la figura raddoppiata da uno specchio.
La chiave di volta del dipinto è rappresentata però dal grande lampadario riflesso che si lascia interpretare come il nuovo sole artificiale della modernità. L'espressione malinconica della vita moderna regna sul volto della cameriera che (doppio inganno!) si trova effettivamente in posa nello studio dell'artista.

Mai affrontare con leggerezza gli impressionisti.

B.
Walter Benjamin, I "passages" di Parigi, Einaudi, 2000
Edgar Allan Poe, L'uomo della folla, 1840
Karl Marx, Il Capitale, 1867