Storia dei "mezzi di comunicazione"! Questo corso d’insegnamento storico si presenta con un titolo già di per sé problematico.
Non "storia della comunicazione visiva", ma storia delle comunicazioni visive: un plurale che dimostra la difficoltà, se non l’impossibilità, di ridurre il fenomeno della comunicazione visiva ad una sola vicenda, ad un solo fenomeno.
Non più, dunque, comunicazione visiva, ma tante modalità, modelli e funzioni del comunicare. Si presuppone, pertanto, che ad ogni specializzazione del comunicare visivamente, corrisponda una sua logica, una sua storia e una sua legge evolutiva.
Una storia, dunque, che presuppone di individuare e commentare le differenti modalità con cui diversi sistemi di comunicazione, basati comunque sempre sulla percezione visiva, si sono diffusi (evoluti?) nel mondo, dalla preistoria ad oggi.
La tipologia e le caratteristiche delle comunicazioni visive variano a seconda delle epoche, dei luoghi, delle culture: non dobbiamo dimenticare che nulla e nessuno riesce a comunicare qualcosa ad uno spettatore (nel senso letterale del termine!) senza che questi non sia capace di decifrare, capire ed elaborare il contenuto del messaggio che è trasmesso. Non solo: senza che il fatto stesso di vedere il "comunicato" non vi aggiunga un significato ulteriore. Un filo di senso lega ineluttabilmente chi vede alla cosa vista e al suo eventuale creatore. Nulla è al di fuori dell’atto interpretativo! L’occhio è sempre intelligente, suo malgrado …
Se volessimo studiare approfonditamente le caratteristiche della comunicazione visiva, dovremmo far ricorso non più soltanto ad una disciplina specifico, ma ad un insieme di discipline comprese in uno schema dinamico di saperi: la semiologia, la psicologia, la percettologia, la sociologia, l’informatica ...
Una comunicazione visiva si presenta percettivamente con una forma e un contenuto, un significato: si presenta rappresentando. Rappresentando qualcosa. Per questo motivo possiamo dire che la storia della comunicazione visiva è la storia stessa della rappresentazione, non solo quella attuata attraverso i linguaggi figurali, ma realizzata anche mediante il corpo (quello individuale e quello sociale, di gruppo, di classe, di appartenenza) e le sue dinamiche.
Anche le cose comunicano, per quanto non intenzionalmente, forse …
Il grande problema è costituito dal rapporto che intercorre tra la comunicazione visiva in senso lato e la sua massima specializzazione: l’arte.
La difficoltà si apre nel momento esatto in cui ci rendiamo conto che l’opera d’arte non necessariamente "comunica", in quanto una delle sue peculiarità, soprattutto nell’epoca moderna e contemporanea, è quella di "esporsi" senza porsi l’interrogativo se riesce o meno a comunicare.
Potremmo dire che l’arte comunica comunque la sua incomunicabilità (vale a dire, che contiene una parte invisibile, segreta, enigmatica, non percepibile con i soli occhi!). Ciò mette a posto la nostra coscienza…
Il significato generico del concetto di comunicazione, per farne la storia, riposa in parte nella sua radice.
Comunicazione: la radice.
La radice cum- è contenuta nella parola latina commune(m), "che compie il suo incarico (munus) insieme con (cum) altri"! e munus, facendo i filologi qb (quantobasta), vuol dire sia prestazione come compito, impegno, dovere in qualunque sfera di attività, sia prestazione come favore, grazia, gentilezza, regalo, dono, offerta. La comunicazione, dunque, è davvero impegnativa!
Comune! C’è qualcosa di comune tra i comunicanti! Talvolta, a scovare radici, si trovano rizomi …
La comunicazione è un’attività di scambio tra individui e soprattutto tra gerarchie identiche, o dissimili, di gruppi, popolazioni, ceti sociali.
La comunicazione produce comunità (pluralità di persone unite da relazioni e vincoli comuni, rafforzati dalla condivisione di esperienze).
Il problema si complica ulteriormente se pensiamo ai paradossi del… comune.
"Comune" vuol dire sia "ciò che appartiene a più persone o cose", quindi ciò che è usuale e molto diffuso, ma anche "ciò che è medio e normale" (l’uomo medio, l’uomo comune, l’uomo in grigio, l’uomo senza qualità…)!
Uno strano destino del nome, in bilico tra un’aspirazione sociale e democratica, se non addirittura rivoluzionaria, evocante comunismi (la "Comune" di Parigi nel 1871 o quella Cinese, l’organismo politico istituito nella Repubblica Popolare nel 1958 …), ma anche la condizione frustrante di un’esistenza banalmente condivisa in un ambiente convenzionale e abitudinario.
Comunicazione visiva.
La comunicazione visiva e… e… e…: è un rizoma. Questo rizoma indica la complessità del nostro rapporto con il mondo, oltrepassante il livello ingenuo del puro vedere. L’occhio innocente, infatti, è cieco (Kant).
La comunicazione visiva è solo un aspetto, oggi predominante, della comunicazione, che, secondo i principi della cibernetica, comprende le seguenti possibilità: il rapporto uomo uomo, il rapporto uomo macchina, il rapporto macchina macchina.
La comunicazione visiva è il mezzo principale mediante il quale quasi tutte le forme della creatività umana trovano la loro più immediata modalità di espressione e di relazione, dall’arte al design, dal cinema all’architettura, dal mediale al multimediale, dalla moda all’estetica diffusa.
La "comunicazione visiva" possiede caratteristiche intrinseche che mutano storicamente; muta anche il modo di analizzarla e definirla a seconda delle epoche e delle culture. La consapevolezza che esiste una questione così definita, che cerca di rendersi disciplina, sistema di analisi e di studi, è relativamente recente, anche se, ovviamente, il fenomeno precede la teoria, come sempre avviene.
Da sempre l’uomo usa esprimere un suo sentimento o offrire un’informazione facendo ricorso a tutta una serie di segni visivi: da quelli elaborati dal corpo stesso – modificando l’aspetto del volto, dinamicizzando il corpo, gesticolando con gli arti – fino a quelli tracciati, mediante simboli astratti e figurativi, su vari supporti materiali (grafie simboliche, ideogrammi e forme di scrittura).
In un secondo momento, l’uomo rifletterà su ciò che era venuto creando e che era diventato un sistema collettivo di comunicazione e di comprensione: il pensiero si fa disciplina …
I sistemi attuali di comunicazione e d’informazione operano prevalentemente mediante l’uso di tecnologie sofisticate, dalla fotografia, al cinema, alla televisione, al computer (i cosiddetti media). L’informazione è diventata tutto!
Già negli anni Settanta, Jean Baudrillard aveva sostenuto una tesi affascinante, che può ritenersi in gran parte valida ancor oggi (Jean Baudrillard, L’implosione del senso nei media e l’implosione del sociale nelle masse, sta in "aut aut" 169, gennaio febbraio 1979, pp.105- 116).
I media, tutti i media, si muovono in una doppia direzione: producono un aumento di socialità in apparenza, mentre, in profondità, neutralizzano ogni vero possibile rapporto sociale, nonché il sociale stesso!
Insomma, l’informazione divora i suoi propri contenuti. Divora la comunicazione!
Divora la comunicazione, secondo Baudrillard, in quanto si esaurisce nella messa in scena della comunicazione (invece di produrre senso, s’esaurisce nella messa in scena del senso) attraverso un gigantesco processo di simulazione.
Tale processo avviene mediante bombardamenti di segni, stimoli pubblicitari, convincimenti subliminali, adozione di curve dolci nelle news, di curve ellittiche nelle interviste, di curve audaci negli shows…
Tutto, proprio tutto ciò che è trasmesso concorre a costruire una scena, nella quale lo spettatore è indotto a credere di essere attore, le masse a credere di essere compartecipi alla costruzione di un nuovo mondo, fondato sull’informazione del tutto a tutti.
Ciò che i media, invece, secondo Baudrillard, portano a compimento non è la socializzazione, ma il suo contrario: l’atomizzazione, la molecolarizzazione della massa "spettatrice", socialmente dissolta!
Tutti i contenuti di senso sono assorbiti dalla forza dominante dei media: nulla rimane esterno ad essi. Nessuno si può escludere!
Baudrillard, a questo proposito, afferma che bisogna ripartire ad analizzare la celebre formula di McLuhan "Il medium è il messaggio". Essa indica che ogni senso è fagocitato dal medium: solo esso produce avvenimenti, solo in esso l’avvenimento prende senso, si verifica e s’invera! Il medium produce massaggi!
Ma c’è una questione ancor più grave, che è sfuggita a McLuhan, prosegue Baudrillard. Non c’è solo un’implosione del messaggio nel medium, c’è anche, nello stesso momento ("movimento"!), un’implosione del medium stesso nel reale!
Anzi, un’implosione contemporanea del medium e del reale, un’indistinguibilità tragica tra finzione e realtà, "dentro un sorta di nebulosa iperreale"!
Cosa ci dice, in conclusione, Baudrillard? Che non è finito soltanto il reale, assorbito totalmente all’interno dei media a tal punto che non riusciamo più a definirlo ontologicamente, ma che è finito anche il medium, vale a dire che non c’è più niente che si pone a metà strada tra il soggetto e il mondo degli avvenimenti e degli eventi.
Questa sparizione di mediazione tra informazione, comunicazione e reale è la forma risultativa della pervasività della tecnica.
Qui s’apre la grande e drammatica interrogazione: è possibile recuperare il senso operando all’interno di una società completamente mediatizzata o attuando un rifiuto soggettivo del potere mediatico, anteponendovi l’utilizzo di un medium autodiretto, come il net, capace di riorganizzare la coincidenza tra informazione e comunicazione, capace di ricreare il corpo, per quanto, diffuso (tutt’altro concetto rispetto ad atomizzato …), del sociale?
Se volessimo ridurre (?!) il problema della comunicazione mediologia ad uno schema, tutto apparirebbe apparentemente più facile! Ogni medium potrebbe essere classificato all’interno di un sistema grafico cartesiano, che contempli sull’ascissa la sua qualità interattiva e sull’ordinata la sua vividness, la sua vivacità (nel senso letterale: vitalità!).
Apparirebbe immediatamente chiaro come il medium di minore vivacità e interattività è il libro, mentre quello che possiede il massimo di queste due caratteristiche è la cosiddetta Nursery bradburyana: la stanza a quattro pareti televisive interattive, evocata nel romanzo Fahrenheit 451 (Ray Bradbury, Fahrenheit 451 (1978), tr. it. a cura di Giorgio Monicelli, Mondadori, Milano 1966 e sgg.).
Totale immersione nel medium. Indifferenziazione tra interno ed esterno. Videodromia assoluta. EXistenZ! Virtualità corporea e corpo virtuale.
Noi cercheremo di sviluppare un’ipotesi, partendo da una serie di dati: in un momento epocale, come il nostro, nel quale l’informazione è tutto e nel quale il rapporto diretto, fisico-visivo, tra le persone è sempre più difficile, avvenendo soprattutto attraverso l’uso di media, usati come interfacce (dal telefono, alle chat, alla rete), il soggetto attuale sente sempre più l’esigenza di riconquistare la possibilità di comunicare - direttamente, fisicamente, emozionalmente - con altri soggetti, usando qualsiasi strategia, anche dell’arte, se necessario!
Pur riconoscendo l’importanza decisiva, per la conoscenza del mondo, della sua comunicazione visiva … (il che vuol dire che è il mondo che vien da noi!), non si può non cominciare a pensare – senza alcuna nostalgia retrò - che forse dovremmo rimetterci in viaggio, se ancora è possibile "bere il tè nel deserto", riproponendo quell’esperienza diretta, che il grande antropologo Claude Levi-Strauss ha chiamato "comunicazione autentica, esperienza globale, modo concreto in cui i soggetti s’afferrano reciprocamente".
Nella cosiddetta "civiltà dell’immagine", in cui, come abbiamo detto il medium è il messaggio, e non solo, dovremmo tentare di capire se ci sono ancora i margini di possibilità per riuscire a tradire le immagini.
Possiamo comunque dire che è in gioco il senso della nostra stessa esistenza, il nostro stesso corpo, il nostro esserci qui ed ora, la nostra identità.
Comunic.arti
Un gioco di parole. Comunic.arti significa: ti comunico (molto friendly …) + comunicare (le) arti + comunicare con (gli) arti.
In altre parole: non ci/mi rimane che questo comunicare l’esigenza di comunicare, usando tutte le arti possibili. E anche gli arti, vale a dire il corpo, questo sconosciuto, sempre più invisibile!
Un gioco di parole che metaforizza uno scontro immane, epocale, che sta avvenendo tra le arti (che vogliono esprimere, e non necessariamente comunicare e farsi capire, né tanto meno apparire "belle") e la comunicazione visiva (la quale ha come obiettivo quello di trasmettere esteticamente dati immediatamente comprensibili).
Molte forme di comunicazione visiva hanno adottato modelli e linguaggi propri dell’arte, tendendo a confondersi con essa.
Per questo motivo il comunicare visivo presuppone occhi e sguardi e rapporti tra soggetti. Proprio qui, nel rivelare materie e corpi nel luogo del visibile, la comunicazione visiva si scontra con i corpi visti e vedenti!
L’artista contemporaneo ha, quindi, rimesso il proprio corpo sulla scena di una disperata ultima visibilità.
Gary Hill, Inasamuch As it is Always Already Taking Place (Ciò sta già avvenendo), video installazione, 1990.
Un’opera dedicata allo smembramento virtuale del corpo. Parti diverse del corpo sono raffigurate in una serie di piccoli monitors collocati all’interno di una sorta di loculo catacombale.
Dentro il loculo il corpo fatto a pezzi non dalle lame taglienti di un killer, ma dalla tecnologia televisiva! Qui, in quest’immagine, vi è tutta la logica postmoderna del frammento, parola che rimanda a due termini chiave: la frattura e la frazione. Interruzione del continuum, del definito, del certo, dell’unitario.
Decostruzione del reale nei suoi dettagli, frammenti esplosi del corpo (del reale!). Una schiena, una bocca, un orecchio, un piede, un occhio: resti di una lontana unità organica, quando il corpo ancora possedeva una sua identità naturale.
Nel mondo della simulazione vediamo la realtà per metafore, come qualcosa che esisteva prima dell’elettronico.
Dovendo occuparci della comunicazione visiva in questo tempo, che è il tempo dell’estetica diffusa piuttosto che dell’arte, molte delle nostre convinzioni devono essere rimesse in discussione. Il nostro tempo è dominato dal visibile, dal riproducibile e dalla pervasività delle immagini: le comunicazioni visive sono decisamente eccessive!
Tutto il mondo è ridotto ad immagine: questa affermazione, pronunciata da uno dei più grandi filosofi moderni, Martin Heidegger, alla metà del secolo scorso, sta a significare che – con l’incremento sempre più accelerato della riproduzione tecnica delle immagini - il mondo sembra aver perso la sua realtà immediata, sostituita dalla sua rappresentazione.
Non è più necessario fare esperienza diretta del mondo, perché esso entra nelle nostre coscienze attraverso le prefigurazioni che i mezzi d’informazione, tra cui soprattutto la televisione, producono, portandoci via per sempre ogni scoperta personale ed ogni mistero. Il mondo reale, che viviamo ogni giorno, è automaticamente confrontato con l’immagine già confezionata, di cui siamo in possesso, appartenente al gigantesco archivio tecnico, ma anche culturale, fornito dai vari media fotografici, cinematografici, televisivi ed informatici.
È possibile vendicarci di quest’eccesso d’immagini, che il filosofo francese Jean Baudrillard, ha definito come un eccesso pornografico di alta fedeltà, per cercare di trovare, al di qua delle immagini, ancora una sostanza reale?
La storia della comunicazione visiva è la storia di un duplice e contraddittorio percorso culturale, quello dell’evoluzione della riproduzione tecnica della realtà, che giunge fino alla sua falsificazione simulativa, e quello della resistenza dell’arte alla propria sparizione.
Charles Baudelaire, Scritti sull'arte, Il pittore della vita moderna, 1863
Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Arte e società di massa, 1936
Jean Baudrillard, La sparizione dell'arte,1988
Mario Perniola, L'arte e la sua ombra, 2000
Il primo critico dell’arte moderna-contemporanea fu Charles Baudelaire. In uno dei suoi saggi, Il pittore della vita moderna (1863), pose per primo, inseguendo e portando alle estreme conseguenze un’intuizione di Edgar Allan Poe (che, nell’Uomo delle folle, aveva esaltato il dinamismo ininterrotto e notturno della città moderna), la definizione dell’uomo di mondo, come di colui che, a differenza dell’artista, uomo condannato alla sua tavolozza come il servo della gleba, comprende il mondo e le ragioni misteriose e legittime di tutte le sue usanze. Cittadino spirituale dell’universo, l’uomo di mondo è, per Baudelaire, l’uomo delle folle, capace di godere e insieme di produrre "il bello, la moda e la felicità". L’arte cede di fronte alla vita artificiale della notte, delle merci, dei comportamenti esteriori. Lo spettacolo della trasfigurazione della merce aveva già più volte impegnato l’analisi di Baudelaire, il quale, nel commentare in modo particolare l’Exposition universelle 1855, aveva contrapposto all’arte "autentica" i prodotti artificiali, irresistibili per il pubblico, della "nuova industria" della fotografia.
Walter Benjamin, nel suo celeberrimo saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), aveva celebrato una delle prime conseguenze del progresso della tecnica, la possibilità di riprodurre indefinitivamente l’opera d’arte, superando per sempre il suo carattere di unicità, la sua cosiddetta aura (l’opera d’arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera d’arte predisposta per la riproducibilità).
Jean Baudrillard, in qualche modo riprendendo (in La sparizione dell’arte, 1988) le tesi di Benjamin, a sua volta influenzate da Baudelaire, ribadisce i motivi della trasfigurazione dell’arte nelle sue infinite "rappresentazioni": l’oggetto d’arte, nuovo feticcio trionfante, deve lavorare a decostruire da sé la sua aura tradizionale, la sua autorità e la sua potenza d’illusione per risplendere nell’oscenità pura della merce!
Mario Perniola, nel suo libro L’arte e la sua ombra (2000), recupera tutti questi motivi e, approfondendo alcune riflessioni già presenti in un fortunatissimo saggio precedente, Il sex appeal dell’inorganico (1998), definisce per l’appunto un passaggio benjaminiano meno noto, concernente la confusione, prodotta dalla tecnica, tra attore a attrezzo, tra essere umano e cosa, implicita, per esempio, nella ripresa cinematografica. L’arte senz’aura del nostro tempo è, anche per Perniola, oltre che per me, l’arte del reale, nel senso del suo appiattimento mimetico sulla realtà stessa: fine di ogni contrapposizione, di ogni dialettica, di ogni critica, tanto che un’eventuale riproposta odierna di opere auratiche (in cui, in altre parole, dominassero il mistero, l’enigma, l’indecifrabile, l’incomunicabile e l’irriproducibile) assumerebbe oggi un significato di contestazione sociale.
Il percorso artistico attuale conduce, da una parte alla sempre più difficile separazione tra realtà e artificio (giochi di … simulazione), dall’altra conduce alla riaffermazione dell’esistenza di procedure originali, irripetibili, irriproducibili, tipiche dell’arte moderna.
Nell’epoca della pervasività della tecnica e della diffusione planetaria dell’informazione, il soggetto sente, come mai prima era avvenuto con altrettanta tragicità, la necessità di ritornare a comunicare direttamente, con i suoi simili, e, per ottenere ciò, usa di qualsiasi strategia, anche dell’arte, se necessario! Può, il soggetto postmoderno, ricostruire questo rapporto antropologico, senza ricorrere ad interfacce, intermediari e media?
Il visibile del corpo, la sostanza resistente del corpo-soggetto, come macchina desiderante, si scontra con il mondo spettacolare delle immagini, con il mondo caratterizzato da un’altra realtà, quella virtuale, prodotta dalla tecnica.
All’artista, a cui per secoli era stata demandato il compito di realizzare mondi d’evasione, immaginari, fantastici, simbolici, sembra oggi richiesto – paradossalmente – d’indicare, se il mondo è tutto già risolto in immagine, dei principi di realtà! Ciò si scontra con la contemporanea esigenza di qualcosa di auratico.
Contro l’eccesso di visibilità del mondo e la sua dismisura, al soggetto, e all’artista in modo particolare, non rimane che anteporre la visibilità residuale e sofferente del suo corpo desiderante e comunicante.
Comunicare mediante le arti: comunicarti la mia inalienabile soggettività. Articolare gli arti dell’arte nel mondo che muta. Disarticolare il progetto di un globale privo di soggettività individuali!
Da una parte il comunicare, dall’altra il comprendere. Ma l’arte attuale risponde a questo elementare criterio?
Afferma Baudrillard che c'è un momento illumi nante per l'arte, che è quello della propria perdita.
C'è un mo mento illuminante, ancor di più, nel passaggio avvenuto dall’immaginario prodotto dall’arte alla simulazione della realtà prodotta dalla tecnologia.
All’aura dell’auten tico e dell’originale, codificata da Benjamin, s’è sostituita l’aura del simulativo, una condizione di totale immersione in un mondo-immagine, che ha determinato l’adozione di un numero enorme di nuove strategie per la sopravvivenza psichica del soggetto.
Se la società è dello spettacolo, il nostro viaggio non è più nelle strade del mondo alla ricerca di immagini, ma un percorso labirintico tra le immagini per ritrovare il mondo.